Pioggia di polemiche su Napolitano Ecco chi ha umiliato il Tricolore

Il Capo dello Stato a Reggio Emilia lamenta l'assenza della Lega alle celebrazioni sul 150° dell'Unità d'Italia. Il Senatùr replica: brinderemo solo dopo il federalismo. Il simbolo d’Italia è rimasto nel cassetto per decenni come l’inno di Mameli. Le bandiere rosse e "Bella ciao" erano considerati simboli più solenni da esporre nelle piazze progressiste. Fu Ciampi a voler festeggiare le Forze armate. Ma 25 aprile e 8 settembre sono date ancora controverse. EDITORIALE Le piroette del presidente (e di Feltri) / di Alessandro Sallusti

Pioggia di polemiche su Napolitano 
Ecco chi ha umiliato il Tricolore

Il presidente Napolitano ha dato ieri l’avvio, da Reggio Emilia dove il 7 gennaio 1797 fu per la prima volta adottato il tricolore, alle cerimonie fe­steggianti molte cose insieme: ap­punto la nascita della bandiera nazio­nale, il secolo e mezzo dall’unità d’Ita­lia e, dalla morte di Cavour, i due seco­li dalla nascita del conte. Non so quanto questo slancio di rievocazio­ni e questa profusione di tappeti rossi stesi per le Alte Autorità siano vera­mente sentiti dalla maggioranza de­gli italiani. Mi pare poco - così come mi pare che nelle iniziative culturali manchino una idea forte e un coordi­namento­ma forse sono pessimista. Forse, pur tra polemiche e ripulse, pa­role come Patria, Nazione, Unità su­scitano tuttora emozione non solo nei vecchi che hanno ricordi di guer­ra, di sofferenze e di momenti tragici in cui l’essere italiani significava mol­to nel bene e nel male, ma anche nei giovani.

Se il ritorno del tricolore- per il qua­le il capo dello Stato ha chiesto giusta­mente rispetto­non è formale, se dav­vero fa palpitare i cuori, non posso che rallegrarmene. Una gran bella no­vità dopo il lungo periodo - qualche decennio- durante il quale, per avver­sione all’ostentazione nazionalistica e bellicosa del fascismo ma anche per conformismo di sinistra, si prefe­rì tenere la bandiera nel cassetto e ta­cere l’inno di Mameli, soppiantato da Bella ciao. La manipolazione del patriottismo fu, insieme a quella del­la romanità, una grave colpa del Ven­tennio. Cosicché i pasdaran dell’anti­fascismo puro e duro poterono a lun­go pretendere che le bandiere rosse fossero considerate un simbolo più solenne delle bandiere tricolori (ban­diera rossa la trionferà), che la canzo­ne del Piave fosse da relegare nel re­pertorio delle melodie obsolete, e che la Seconda guerra mondiale aves­se importanza solo per l’anno e mez­zo in cui, dopo tante folle oceaniche in piazza Venezia, i partigiani com­batterono la Germania votata ormai alla sconfitta. Questo accadeva nei decenni dei governi Dc sempre incal­zati da maestri o maestrini con falce e martello, sempre ossessionati dal ti­more d’apparire troppo poco ostili al Duce che non c’era più, e troppo po­co progressisti.

In ossequio a questa mentalità furo­no abolite alcune feste nazionali, co­me il 4 novembre, anniversario della vittoria nella Grande guerra ’15-18, e come il 2 giugno (poi ripristinato), an­niversario di quando fu proclamata la repubblica. Da salvaguardare gelo­samente invece il 25 aprile che ha massima rilevanza ma che tra le date citate è senza dubbio la più divisiva e controversa. Le svolta arrivò con Ciampi che volle si tornasse alla para­ta militare del 2 giugno, e per questo gli deve essere reso merito. Mi trova molto meno d’accordo il tentativo da Ciampi compiuto di riabilitare l’8 set­tembre 1943, vedendovi l’inizio della Resistenza e d’un riscatto nazionale. L’8 settembre fu secondo me quasi soltanto vergogna. Non bastano per nobilitarlo pochi episodi di valore e il martirio della divisione Acqui. Ci consola dunque il risorgere- spe­ro non soltanto a livello ufficiale e di parata - di sentimenti che sono stati non cancellati, ma a lungo anestetiz­zati, per una sorta di pudicizia mal ri­posta, per il timore di sembrare, usan­do e onorando alcuni termini, in pri­mo luogo il termine Patria, dei nostal­gici in camicia nera.

Se la Patria ritro­va ­il suo posto tra i valori che gli italia­ni sono pronti a difendere, tanto me­glio. A questa soddisfazione si accompa­gna tuttavia un certo stupore. Tra gli inneggianti al tricolore troviamo oggi uomini e movimenti che lo spregiaro­no per fedeltà al loro credo politico. Non dimentico lo choc che ebbi quando l’Unità titolò «Trieste è libe­ra ». Era il giorno in cui nella città en­trarono, in un’atmosfera di lutto e di costernazione, le milizie del mare­sciallo Tito. Tempi remoti, e di sicuro non voglio resuscitare dittature e dit­tatori che non ci sono più da un pez­zo.

Crea qualche dubbio, tuttavia, il fatto che l’amore per il tricolore sia stato ravvivato dal fatto che un parti­to di governo lo aborre, almeno nelle dichiarazioni di alcuni suoi esponen­ti.

È un po’ come quando Montanelli, per una vita bollato dalle sinistre co­me fascista, fu dalle stesse sinistre osannato perché aveva litigato con Berlusconi. Il patriottismo di risulta non dico sia da condannare. Ma non sembra proprio genuino al cento per cento.

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