Il presidente Napolitano ha dato ieri l’avvio, da Reggio Emilia dove il 7 gennaio 1797 fu per la prima volta adottato il tricolore, alle cerimonie festeggianti molte cose insieme: appunto la nascita della bandiera nazionale, il secolo e mezzo dall’unità d’Italia e, dalla morte di Cavour, i due secoli dalla nascita del conte. Non so quanto questo slancio di rievocazioni e questa profusione di tappeti rossi stesi per le Alte Autorità siano veramente sentiti dalla maggioranza degli italiani. Mi pare poco - così come mi pare che nelle iniziative culturali manchino una idea forte e un coordinamentoma forse sono pessimista. Forse, pur tra polemiche e ripulse, parole come Patria, Nazione, Unità suscitano tuttora emozione non solo nei vecchi che hanno ricordi di guerra, di sofferenze e di momenti tragici in cui l’essere italiani significava molto nel bene e nel male, ma anche nei giovani.
Se il ritorno del tricolore- per il quale il capo dello Stato ha chiesto giustamente rispettonon è formale, se davvero fa palpitare i cuori, non posso che rallegrarmene. Una gran bella novità dopo il lungo periodo - qualche decennio- durante il quale, per avversione all’ostentazione nazionalistica e bellicosa del fascismo ma anche per conformismo di sinistra, si preferì tenere la bandiera nel cassetto e tacere l’inno di Mameli, soppiantato da Bella ciao. La manipolazione del patriottismo fu, insieme a quella della romanità, una grave colpa del Ventennio. Cosicché i pasdaran dell’antifascismo puro e duro poterono a lungo pretendere che le bandiere rosse fossero considerate un simbolo più solenne delle bandiere tricolori (bandiera rossa la trionferà), che la canzone del Piave fosse da relegare nel repertorio delle melodie obsolete, e che la Seconda guerra mondiale avesse importanza solo per l’anno e mezzo in cui, dopo tante folle oceaniche in piazza Venezia, i partigiani combatterono la Germania votata ormai alla sconfitta. Questo accadeva nei decenni dei governi Dc sempre incalzati da maestri o maestrini con falce e martello, sempre ossessionati dal timore d’apparire troppo poco ostili al Duce che non c’era più, e troppo poco progressisti.
In ossequio a questa mentalità furono abolite alcune feste nazionali, come il 4 novembre, anniversario della vittoria nella Grande guerra ’15-18, e come il 2 giugno (poi ripristinato), anniversario di quando fu proclamata la repubblica. Da salvaguardare gelosamente invece il 25 aprile che ha massima rilevanza ma che tra le date citate è senza dubbio la più divisiva e controversa. Le svolta arrivò con Ciampi che volle si tornasse alla parata militare del 2 giugno, e per questo gli deve essere reso merito. Mi trova molto meno d’accordo il tentativo da Ciampi compiuto di riabilitare l’8 settembre 1943, vedendovi l’inizio della Resistenza e d’un riscatto nazionale. L’8 settembre fu secondo me quasi soltanto vergogna. Non bastano per nobilitarlo pochi episodi di valore e il martirio della divisione Acqui. Ci consola dunque il risorgere- spero non soltanto a livello ufficiale e di parata - di sentimenti che sono stati non cancellati, ma a lungo anestetizzati, per una sorta di pudicizia mal riposta, per il timore di sembrare, usando e onorando alcuni termini, in primo luogo il termine Patria, dei nostalgici in camicia nera.
Se la Patria ritrova il suo posto tra i valori che gli italiani sono pronti a difendere, tanto meglio. A questa soddisfazione si accompagna tuttavia un certo stupore. Tra gli inneggianti al tricolore troviamo oggi uomini e movimenti che lo spregiarono per fedeltà al loro credo politico. Non dimentico lo choc che ebbi quando l’Unità titolò «Trieste è libera ». Era il giorno in cui nella città entrarono, in un’atmosfera di lutto e di costernazione, le milizie del maresciallo Tito. Tempi remoti, e di sicuro non voglio resuscitare dittature e dittatori che non ci sono più da un pezzo.
Crea qualche dubbio, tuttavia, il fatto che l’amore per il tricolore sia stato ravvivato dal fatto che un partito di governo lo aborre, almeno nelle dichiarazioni di alcuni suoi esponenti.
È un po’ come quando Montanelli, per una vita bollato dalle sinistre come fascista, fu dalle stesse sinistre osannato perché aveva litigato con Berlusconi. Il patriottismo di risulta non dico sia da condannare. Ma non sembra proprio genuino al cento per cento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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