Intanto fece subito boom. Quella domenica 11 marzo 1984 furono otto milioni gli italiani a seguire su Raiuno la prima puntata della Piovra. Alla sesta erano già quindici di media, roba che neppure il Festival di Sanremo. Insomma in appena tre settimane la serie (andava in onda la domenica e il lunedì sera alle allora fatidiche 20,30) è diventata la madre di tutte le fiction, quella che per dieci edizioni, fino al 2001, è stata campione di ascolti e per sempre resterà nei libri della tv, non solo italiana. Per non dire di Michele Placido, alias commissario Corrado Cattani: in tempo reale diventa eroe nazionale, lui poco conosciuto al grande pubblico ma amato dai registoni molto impegnati a sinistra come Bellocchio, Comencini e Damiani (che difatti lo vuole nella Piovra). E pensare che all'inizio il telespettatore distratto della domenica sera, quello che sognava solo i gol della Domenica Sportiva, neppure sapeva che cosa aspettarsi dalla Piovra, titolo geniale forse ispirato all'Ovra di Mussolini (toh!) ma perfetto per rendere la metafora dei tentacoli di Cosa nostra e la loro capacità insinuante di penetrare nei tanti livelli della vita economica e produttiva. Intanto bisogna fotografare il periodo. Il 1984 nazionalpopolare è dominato dalla vittoria di Albano e Romina Power a Sanremo e dall'arrivo di Maradona al Napoli. Quello politico ruota intorno alla nascita della Lega Lombarda e alla morte di Enrico Berlinguer e di Andropov, che lascia lo spazio a Gorbaciov in Urss. In Canada muore il primo malato di Aids, il cosiddetto «paziente zero». E gli italiani sono abituati a una tv rassicurante specialmente in prima serata che leviga bene gli argomenti prima di trattarli, che li smussa per renderli digeribili a chiunque.
La Piovra no. E arriva al culmine di una serie devastante di omicidi mafiosi, da quello di Carlo Alberto Dalla Chiesa passando per Rocco Chinnici, Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Boris Giuliano. In poche parole, la serie conquista un effetto stile Lascia o raddoppia: tutta Italia si ferma davanti alla tv per guardarla e commentarla, i giornali si riempiono di piovrate, gli attori che man mano entrano nel cast (da Florinda Bolkan a Massimo Bonetti e Barbara De Rossi fino alla fascinosa Patricia Millardet, in due serie c'è anche Raoul Bova) diventano eroi del giorno e alcuni, come Remo Girone, come notorietà ci campano ancora oggi. E la Piovra si trasforma in una piovra del marketing. La serie è stata venduta in addirittura ottanta Paesi, un record specialmente per quei tempi. Tanto per capirci, in Germania, dove fu ribattezzata Allein gegen die Mafia, ha avuto un successo clamoroso con milionate di tedeschi che si resero conto di quanto semplicistica e fuorviante fosse stata la famigerata copertina dello Spiegel, quella con la pistola sul piatto fumante di spaghetti al pomodoro. Anche da noi la Piovra ha avuto un effetto benefico e non soltanto per i clamorosi risultati di quello che di lì a poco si sarebbe noiosamente chiamato share. Innanzitutto è stato praticamente il primo caso in cui la tv avesse così fragorosamente affrontato temi di straordinaria delicatezza con impeto romanzato ma anche con la faticosa credibilità costruita sulla lettura minuziosa di saggistica e giornali. Ma il boom dipende anche dalla bravura di Ennio De Concini che intreccia le vicende personali di Placido/Cattani con quelle delle cosche in un crescendo che parte dai piccoli traffici locali in Sicilia fino ai giganteschi introiti statali e alle collusioni con le banche internazionali. La lotta tra Stato e Mafia sfrutta il fascino del Padrino ma anche la terribile calamita emotiva di quegli anni: la convinzione che dietro a tutto ci fosse sempre una trama occulta a muovere i fili della vita pubblica. In più c'è un inedito effetto «real tv». A Placido, che è l'eroe senza potere, violentano la figlia Paola ma sul resto del cast piove piombo, decine di scene violentissime che forse oggi scandalizzerebbero anche qualche Codacons pronto all'indignazione. Per farla breve, quando alla quarta serie Placido dice basta, si spiega così: «Non so più che faccia fare davanti ai morti ammazzati». Furono venti milioni gli italiani che il 20 marzo del 1989 seguirono la scena (poi trasmessa in 77 Paesi, Russia compresa) in cui viene devastato da novanta proiettili in un agguato di mafia così simile a quello che quattro anni prima aveva ucciso Ninni Cassarà, capo della Squadra Mobile di Palermo. Oggi tanta somiglianza sarebbe crivellata da commenti, dietrologie, sospetti. Allora molto meno, c'era Sciascia, mica D'Avanzo. Walter Veltroni, peraltro noto critico televisivo, iscrisse la serie tra «i programmi che hanno cambiato l'Italia», elenco che poi negli anni ha aggiornato centinaia di volte.
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