Pm e giudice in una rock band: l’imputato sta male al concerto

nostro inviato a Pescara

Il giudice è rock, l’imputato è lento. Le note stonate della giustizia italiana rimbombano ancora in quel di Pescara dove gli obbrobri del processo all’ex governatore Del Turco gridano vendetta. Stavolta il tema è la separazione delle carriere (musicali). Mettetevi nei panni di un povero cristo alla sbarra arrivato a urlare la sua innocenza alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per i modi poco eleganti utilizzati nelle perquisizioni precedenti il suo arresto, quello della moglie e del figlio. Immaginatelo, lontano dalle preoccupazioni giudiziarie, mentre si ritrova a un concerto in città dove primeggia la band «Storie infinite». Il leader del gruppo, chitarra e microfono, è il «suo» pubblico ministero, Gennaro Varone. Alla seconda chitarra elettrica riconosce il giudice del «suo» dibattimento, Massimo De Cesare, quello che su richiesta del pm-vocalist deciderà se condannarlo o assolverlo. Lo sguardo si fa assente. Barretta ha un leggero malore. Balbetta: «Ma il pm e il giudice non devono essere due entità distinte e separate e limitare al minimo i loro rapporti? E allora che ci fanno lì? Sono intimi, chissà da quanto suonano insieme, fanno concerti, si vedranno spesso pure per le prove. Ma è normale? Si può fare? Il pm che mi vuole condannare e il giudice che deve decidere sulla mia pelle. Questo mi condanna di sicuro...».
Si arricchisce di colpi di scena extraprocessuali la vicenda dell’imprenditore abruzzese Ernani Barretta, sott’accusa per aver filmato l’amico svizzero Helg Sgarbi mentre si intratteneva carnalmente con ricche ereditiere che successivamente ricattava (il gigolò, ora in carcere, è riuscito a farsi dare 7 milioni di euro da Susanne Klatten, proprietaria della Bmw). L’imputato si professa assolutamente innocente perché, dice, nessuna vittima l’ha riconosciuto, nessuna intercettazione lo collega al raggiro sessuale, persino il gigolò lo scagiona. Il pm sostiene invece il contrario: Barretta è colpevole e le intercettazioni hanno evidenziato non solo il ruolo di cineoperatore a luci rosse ma di «santone» aduso ad impalmare le sue adepte della masseria di Pescosansonesco, rivoltata dalla squadra mobile pescarese insieme alla polizia tedesca e ai servizi segreti della Merkel. E proprio dalla perquisizione son saltati fuori soldi sospetti, che l’imprenditore giura essere riconducibili alla sua attività di albergatore dello splendido resort Valle Grande, nel parco nazionale d’Abruzzo, oggetto di un’imbarazzante diatriba dibattimentale per il pm, convinto che l’attività di Barretta sia fittizia. In aula la toga è stata presa di petto dalla figlia dell’imputato che gli ha rinfacciato, ricevute alla mano, un suo soggiorno nel 2005 proprio nel resort «fantasma».
Torniamo alle toghe rock, oggetto di accese discussioni nei corridoi a Palazzo di giustizia. Non essendoci gli estremi per un’incompatibilità, le discussioni vertono su eventuali «ragioni di opportunità» che possano portare il giudice a latere (chitarra elettrica) ad astenersi. Barretta starebbe studiando il da farsi coi suoi legali. Nel frattempo evita di commentare le performance del pm che in un’intervista artistica si è detto un ammiratore della Resistenza sensibile ai temi della legalità sbandierati per anni dagli anti-Cav (imperdibile il refrain «Mani Pulite» sul brano Le mani di Eduardo De Crescenzo, oppure «Sette: non devi rubare, è per i ladri del supermercato, per gli altri non vale»).

Al contrario della stampa locale che plaude senza freni al frontman in toga («Varone è rock, D’Alfonso - sindaco di Pescara arrestato da Varone, ndr - è lento»). Barretta è solo incredulo per quei due magistrati lì. «Mettetevi nei miei panni. Sareste tranquilli?».

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