Il pm è fuori stanza

Lo sanno anche i corrimano dei tribunali che i magistrati lavorano mediamente poco, che non di rado Tizio «oggi non c’è», che Caio «oggi lavora a casa», che Sempronio «oggi non è venuto», che pochi si sobbarcano il lavoro di molti perché molti sono imboscati o fuori stanza: sono uomini e funzionari come gli altri, non è che sono eticamente superiori. Uno sgobbone come Francesco Ingargiola, presidente della Corte d’Appello di Caltanissetta, lo disse chiaramente in un bel libro di Massimo Martinelli: «Nei tribunali il problema principale è proprio questo, far lavorare e motivare i giudici; perché se la giustizia è al capolinea non è colpa solo di leggi farraginose, ma anche di molti colleghi che non lavorano a sufficienza». Questo a dispetto di 51 giorni di ferie l’anno, record italiano.

Le toghe che si fanno il mazzo, insomma, da un giro di vite guadagnerebbero e basta: ecco perché l’uscita del ministro Renato Brunetta sui tornelli anche a palazzo di Giustizia (idea che un sondaggio del Corriere della Sera, ieri, vedeva favorevole l’80 per cento dei votanti) ha avuto il potere di restituirci la stizzita Associazione nazionale magistrati per ciò che meramente è: un piccolo sindacato di categoria. «È arrivato il momento», ha detto il presidente dell’Associazione, Luca Palamara, «di accendere i riflettori sulle reali disfunzioni della giustizia». Siete già abbastanza illuminati, dottor Palamara.

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