Berlino, muro anti-scalata contro gli investitori esteri

La Germania vuole abbassare al 3% il tetto oltre il quale si è obbligati a denunciare il possesso di quote azionarie

Berlino, muro anti-scalata contro gli investitori esteri
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Se ci fossero rimasti dei dubbi sul fatto che l'operazione Unicredit-Commerbank sia andata di traverso al governo Scholz, ogni giorno che passa questi dubbi vengono dissipati. La sortita della banca guidata dal ceo Andrea Orcel, infatti, ha spinto la Germania a studiare una norma per evitare ulteriori smacchi in futuro: come riporta Reuters, e come aveva già anticipato il ministero delle Finanze tedesco, il governo è al lavoro per inasprire i requisiti di rendicontazione per gli investitori che stanno accumulando partecipazioni nelle società della nazione. Insomma, una legge per evitare che - in futuro - un investitore possa guadagnare posizioni di vantaggio con il beneficio delle tenebre, andando a costruire una partecipazione fatta di azioni e derivati. In poche parole, come ha fatto Unicredit, che ha rilevato il 4,5% della quota di Commerz venduta dal governo federale e, prima, aveva rastrellato un'altra fetta del 4,5% di azioni sul mercato senza aver alcun obbligo di rendere pubblica la sua quota. A tal fine, la Germania sta valutando la possibilità di richiedere agli investitori di stabilire l'obbligo di dover dichiarare una quota che arriva al 3%, sommando tra loro azioni e derivati. Ad oggi questa soglia combinata è al 5%, motivo per cui a Berlino non si sapeva che l'istituto italiano (che si è già attrezzato per arrivare addirittura al 21%) avesse già in tasca un altro 4,5 per cento.

La nuova «legge Unicredit» dovrebbe fungere da norma antiscalate, proprio mentre in Europa è forte il pressing (anche da parte della Banca centrale europea) per spingere le aggregazioni transfrontaliere, specialmente in ambito bancario, e creare così dei campioni europei in grado di rivaleggiare con quelli di Stati Uniti e Cina. Fatto che a parole raccoglie proseliti tra economisti ed esperti tedeschi, è benedetto dalla Banca centrale europea e dalla Bundesbank, ma evidentemente non può piacere alla politica, che corre il rischio di perdere ulteriore consenso presso un'opinione pubblica in cui la destra ultra-nazionalista ha osservato una crescita inarrestabile. C'è poi l'aspetto sindacale: in Commerz non è certo sfuggita la ricetta già attuata in Hvb (terza banca tedesca già nel gruppo Unicredit) che ora è un gioiellino di efficienza, ma è altrettanto vero che in caso di integrazione tra banche è difficile non passare anche da una razionalizzazione della forza lavoro. Proprio per questo l'istituto tedesco, che ha affidato i colloqui con Unicredit a Bettina Orlopp, sta continuando a lavorare per far saltare le nozze paventando rischi di varia natura: dalla perdita di clienti, alla presunta minaccia alla stabilità finanziaria che sarebbe costituita dalla presenza di una cospicua dote di titoli di Stato italiani nei bilanci di Unicredit. Argomento, questo, che avrebbe fatto breccia tra alcuni esponenti del governo tedesco, che vedono con timore la possibilità di un'offerta ostile che legherebbe il destino della seconda banca del Paese alla possibilità che l'Italia un domani possa avere difficoltà a ripagare il suo debito pubblico.

Per questo motivo a Berlino sperano che la Consob tedesca (la Bafin) e la Bce possano perlomeno rallentare la scalata dell'istituto italiano, che ha chiesto di salire fino al 30%.

Sul fronte italiano, intanto, ieri Unicredit ha posticipato al 5 novembre la data del cda che approverà l'acconto in contanti sul dividendo 2024.

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