
Transizione ecologica, Piano Mattei, intelligenza artificiale. Nel pieno di questi anni Venti del ventunesimo secolo risulta impossibile fare i conti con le tante tematiche energetiche che da qua ai prossimi anni (per non dire decenni) diventeranno il fulcro di tutte le discussioni geopolitiche ed economiche: dal Green Deal al ruolo del continente africano come alternativa alla Russia sul gas e sulle fonti rinnovabili. Senza dimenticare il dilemma attualissimo sui dazi. Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni da quasi undici anni, illustra la propria visione manageriale sulle molteplici discussioni che stanno influendo nelle scelte che dovranno essere assunte nell'immediato futuro. L'occasione è l'intervento del dirigente d'azienda alla presentazione del nuovo settimanale di approfondimento economico Moneta - diretto da Osvaldo De Paolini - nella sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano presso la Camera di Commercio di Roma, intervistato dal direttore de Il Tempo, Tommaso Cerno.
Descalzi ritiene che i dazi hanno sicuramente avuto delle conseguenze: "Tutto sta succedendo molto velocemente e questo è quindi il momento in cui bisogna rallentare. Ma quello degli Usa è stata una reazione aggressiva e dirompente, dovuta a decenni di politica protezionistica della Cina. E poi bisogna ricordare che i primi dazi l'Europa se li è messi da soli"; per esempio su tutte le politiche del Green Deal. I passi compiere da corretti devono essere il più possibile corretti per "evitare un panico generalizzato", sottolinea l'ad di Eni. Lo strato amministrativo centralizzato dell'Ue "ha autorità ma non responsabilità" e ha costruito questa burocrazia negli ultimi vent'anni: "Se non cambiano le persone, difficilmente cambiano le direzioni", afferma Descalzi. Specialmente in un gruppo di Paesi con lingue, culture, logiche, costi e mix energetici differenti "che si concentra a Bruxelles e si possono commettere errori, i cui costi sono solo degli singoli stati".
Si arriva poi alla transizione energetica. Secondo Descalzi già durante Obama e Biden le produzioni erano già arrivate al massimo: "Chi si è impegnato a ridurre le emissioni è l'Europa, non l'America. Quindi non cambia assolutamente nulla da questo punto di vista". Il rallentamento di questo progetto è legato a qualcosa di ideologico: "Il Green Deal non può diventare l'unica componente di un credo politico, perché in questo modo non si può andare avanti". Il manager milanese crede, di conseguenza, che bisognerebbe riflettere sulla propria capacità di produrre energia in modo tale da calmierare le bollette di luce e gas. "L'Italia ha 45% di gas, un po' di idroelettrico, pochissimo carbone e tante rinnovabili. Questo mix energetico è una scelta che è stata fatta trent'anni fa e a questa si sommano gli oneri sociali, che non fanno altro che impattare sulle bollette. Non si può vivere di soli sussidi o di un'unica tecnologia". In sintesi, quello che manca all'Europa è "un progetto di sicurezza energetica".
Molte società americane vengono in Europa se i prezzi al rigassificatore Ue convengono. Tuttavia il potenziale degli Usa per aumentare la produzione di gas resta un interrogativo. "Nel momento in cui Trump vuole combattere la possibile inflazione con prezzi dell'energia più bassa, ovviamente chi deve perforare e produrre ha bisogno di prezzi che siano superiori a quello che è il loro breakeven". Restano ancora in campo alcune contraddizioni, quindi.
Così come quelle comprese sul piano di riarmo europeo: "Io credo che un piano comune, dove si fanno degli acquisti insieme, è estremamente complesso. Sono solo parole e rimangono tali. Io ho la convinzione che difficilmente si arriverà a un'unificazione energetica europea", conclude Descalzi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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