Spread e mercati, la Germania fa l'Italia

È Berlino che preoccupa i mercati e spinge lo spread ad allargarsi. Mentre a Roma non c'è mai stato un governo così stabile e così in sintonia con gli stessi mercati

Spread e mercati, la Germania fa l'Italia
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Quante vigilie elettorali italiane sono state vissute con l'ansia che l'indomani i cosiddetti mercati avrebbero messo in ginocchio il Paese e i risparmi dei suoi cittadini? Dal 2011 in poi sono state tutte così. Con lo spread che, come un fiume carsico, minacciava di tornare fuori ed esondare ovunque. L'ultima volta è stata il 25 settembre 2022 quando, dopo la crisi del governo Draghi, la favorita per la vittoria alle urne era Giorgia Meloni. E chi l'avrebbe mai detto, in quella domenica di settembre, che di lì a una trentina mesi il vento sarebbe girato dalla parte esattamente opposta? Che sarebbe toccato alla Germania fare la parte dell'Italia?

Ed è proprio quello che è successo ieri, quando i mercati di tutto il mondo si sono messi alla finestra per vedere cosa sarebbe successo nelle elezioni politiche, pronti, da oggi, a punire risultati non graditi. Solo che questa volta le elezioni sono state proprio in Germania. È Berlino che preoccupa i mercati e spinge lo spread ad allargarsi. Mentre a Roma non c'è mai stato un governo così stabile e così in sintonia con gli stessi mercati, almeno da un quarto di secolo, è cioè da quando esistono l'euro e lo spread tra i rendimenti dei titoli dei diversi Stati membri. Mentre i tempi della Deutsche Bank, spesso molto attiva con i Btp italiani, sono oggi diventati i tempi di Commerzbank, oggetto di un'offerta lanciata da Unicredit.

Ebbene, l'Italia arriva all'appuntamento delle elezioni tedesche con lo spread sui Bund (la differenza di rendimento tra i Btp decennali e i corrispondenti titoli tedeschi) a quota 108, dai 210 di prima delle elezioni del 2022 e ai minimi dal 2021 (significa che se per un Btp il mercato chiedeva un rendimento del 2,1% più alto del Bund, ora si accontenta dell'1,08%). Tale trend è il risultato di due effetti. Il primo è il miglioramento della fiducia nel governo italiano: con l'esecutivo Meloni, infatti, lo spread è sceso anche nei confronti degli altri Stati europei. Si pensi ai titoli francesi, da cui ci divide uno spread di soli 33 punti (così basso non si vedeva dai tempi di Lehman Brothers, anno 2008, mentre erano 150 i punti di differenza prima delle elezioni del 2022), oppure a quelli austriaci, passati da uno spread di 140 agli attuali 66 punti.

Il secondo effetto è il dato dal lato opposto e cioè dal peggioramento dei rendimenti dei Bund, che portano anch'essi a restringere lo spread. E pure di questo c'è evidenza, bisogna però guardare come si muove il differenziale il rendimento rispetto a un parametro neutrale. Per esempio il «tasso swap», vale a dire il tasso d'interesse interbancario che non è influenzato dal un Paese o dall'altro. Ed ecco che, nell'ultimo anno, la differenza tra rendimento decennale dei Btp e il tasso swap è rimasta sostanzialmente invariata, mentre il Bund ha perso 24 punti base.

Dopodiché i titoli italiani restano più rischiosi e il nostro debito il più gigantesco d'Europa rispetto al Pil. Ma la percezione dei mercati non guarda alle dimensioni assolute. Il tema non è (e non mai stato) come fare a rimborsare il debito pubblico. Il tema è sostenerlo pagando gli interessi.

Per questo il mercato premia la stabilità e la prudenza dei governi mentre teme il contrario.

E oggi lo trova a Berlino, dove il futuro governo ha di fronte a sé due sfide: la prima è riuscire a trovare una maggioranza che lo sostenga; la seconda è comunque mettere le mani nelle tasche dei tedeschi per rilanciare l'economia in recessione e per far fronte alle spese militari secondo la nascente dottrina Trump. Quindi più Bund da emettere e il tabù del pareggio di bilancio da affrontare. Insomma, a questo giro la ruota si ferma a Berlino.

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