Lo strano intreccio Africa-Cina-Europa

Scenari internazionali: perché l'Europa dovrebbe preoccuparsi dell'approccio della Cina

Lo strano intreccio Africa-Cina-Europa
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Il futuro dell'Africa passa per la Cina. Il futuro del mondo passa per l'Africa. Tuttavia, l'Europa potrebbe trovarsi chiamata in causa per gestire il fallimento di Pechino. L'ipotesi è controintuitiva, ma forse vale la pena di prenderla in considerazione per tempo.

Alla fine di giugno, a Nairobi, s'è svolto un forum sulla cooperazione tra Kenya e Cina nella conservazione della fauna selvatica e della biodiversità. Intanto fervono i preparativi per il 9° Forum sulla Cooperazione Cina-Africa, che si terrà a Pechino dal oggi al 6 settembre.

La strategia cinese è olistica: sviluppo industriale, protezione ambientale, sicurezza e progresso tecnologico sono strettamente collegati. La Cina ha rafforzato la sua presenza nelle infrastrutture, nelle telecomunicazioni e nell'agricoltura, offrendo accesso a tecnologie avanzate per il monitoraggio dei confini. È un investimento sul futuro: l'Africa è un continente giovane, ricco di risorse naturali essenziali per l'energia e per lo sviluppo tecnologico, con un mercato in espansione e un tasso di crescita economica superiore al 4%.

L'Europa dovrebbe preoccuparsi principalmente per due motivi.

Il primo è che la Cina è oggi in grado di influenzare i flussi migratori dall'Africa verso l'Europa. Tale potere è destinato a crescere. Anche la Russia ha un ruolo in questo contesto, ma il suo raggio d'azione dipende dal sostegno cinese.

Il secondo, meno ovvio, è che qualcosa potrebbe andare storto, in Africa, per la Cina, obbligando l'Europa a rivedere la sua politica nel continente.

L'immagine di una Cina sempre vincente è stata più volte messa alla prova, in questi anni. La gestione cinese del covid è stata disastrosa. Il Pil sta crescendo meno del previsto e l'obiettivo del sorpasso sugli Usa è stato clamorosamente mancato. La crisi demografica ha mandato in tilt il mercato immobiliare e sta avendo effetti sociali depressivi. Abituati, come siamo, a dare per scontato che le democrazie occidentali siano al «tramonto», non ci rendiamo conto del fatto che nelle realtà geopolitiche in rapporto agonistico o antagonistico con l'Occidente (Russia, Iran, una parte del mondo sunnita), si possano innescare derive entropiche.

Venendo alla presenza cinese in Africa, potrebbe rivelarsi utile esplorare cosa c'è dietro la versione di Pechino, che in tanti adottano acriticamente.

Come è noto, la Cina utilizza un paradigma geopolitico «realistico», che privilegia la sovranità statale e il metodo intergovernativo, evitando di interferire con le politiche interne degli stati, anche quando queste sono caratterizzate da corruzione, discriminazioni etniche e rivalità tribali. Ma tale approccio risulta inidoneo alla gestione della realtà africana. Non ci sono, ovviamente, dati ufficiali. Ma secondo studi recenti, lo spaventoso aumento di attacchi «contro non combattenti» in Africa (da 381 nel 2015 a 7.108 nel 2020) coinvolge un grande numero di target cinesi (v. Chinese Counterterrorism in Africa, di Cobus van Staden, luglio 2024). La risposta più ovvia sarebbe quella del rafforzamento della sicurezza privata, ma ciò è ostacolato dalle restrizioni dell'ordinamento cinese in materia. Questo favorisce la formazione di zone grigie, dove i cinesi devono instaurare dinamiche di interdipendenza con gruppi armati non convenzionali, molto diffusi in Africa. Inoltre, la politica cinese dei finanziamenti può, paradossalmente, incentivare l'instabilità, dovuta a conflitti etnici, come accaduto in Camerun, dove la comunità anglofona s'è vista assegnare solo l'8% dei progetti cinesi. Accade, poi, spesso che i finanziamenti vengano ritirati per l'inaffidabilità o l'instabilità dell'interlocutore governativo.

In sintesi, sembra che l'approccio geopolitico cinese non riesca a catturare alcune delle variabili fondamentali delle dinamiche africane.

Ce n'è abbastanza, ci pare, per augurarsi che in Europa, a cominciare dagli analisti di geopolitica, si comincino a valutare le conseguenze di una futura possibile destabilizzazione africana, collegata proprio alla presenza cinese.

*Professore ordinario di diritto pubblico comparato, Università degli Studi internazionali di Roma - UNINT

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