In politica estera peggio di Zapatero

Erano parecchi i Soloni che, prima del voto del 9 aprile, andavano sostenendo che se il centrosinistra avesse prevalso, sarebbero cambiate molte cose. Ma non in politica estera, vista la tradizionale «continuità» seguita in tanti anni da tanti governi. Sono bastati un paio di mesi per verificare che proprio su quel delicato terreno è in atto una rivoluzione tale di cui forse neanche l’invocato Zapatero sarebbe stato capace.
E non è tanto l’arcigno D’Alema che risponde piccato agli americani sul proseguimento della nostra collaborazione in Irak, o il grande freddo che si va registrando tra le due sponde del Tevere, come mai era accaduto da parecchi anni. Sono altri, forse più piccoli ma non per questo meno significativi, i segnali che la tradizionale linea occidentale e filo-atlantica del nostro paese sta subendo mutazioni profonde. Non saranno al governo Diliberto e Rizzo, ma ne sono parte di rilievo; e il fatto che fossero alla guida di un corteo in cui si bruciavano bandiere israeliane non poteva non lasciare un segno (assai negativo) a Gerusalemme. Come a Bruxelles, in ambito Nato, non è che non s’accorgano delle reiterate dichiarazioni di rifondaroli, verdi, neocomunisti sulla necessità di lasciare anche Kabul, dopo Nassirya, senza se e senza ma.
Sul Riformista (non sul Secolo d’Italia) un paio di giorni fa si cercava di scusare Prodi per le piccole gaffes nella sua intervista al tedesco Die Zeit, rilevando tra l’altro che certo non ci si poteva attendere che il premier ammettesse «che l’Italia assieme alla Bielorussia è l’unico Stato del Vecchio continente ad avere ministri ed assessori che hanno sulla loro scrivania i busti bronzei di Lenin, di Mao, forse anche di Stalin»... E non pochi, in tante capitali europee, conoscono perfettamente le propensioni castriste di Bertinotti e del suo successore Giordano.
Solo folklore, visto che si tratta di discorsi e preferenze espresse da rappresentanti di partito? Beh, la breccia comincia ad apparire evidente anche in campo istituzionale. Prendete il programma per questo mese dei vice di D’Alema agli Esteri - 3 vice-ministri e 3 sottosegretari, visto che quel tipo di posto è particolarmente appetito - presentato giusto la scorsa settimana alla Farnesina. Di routine e più che giustificabile, l’invio in missione a Ginevra di Vernetti (Margherita), dove si svolgerà la sessione inaugurale del nuovo Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu. Un po’ meno scontata la partecipazione di Patrizia Sentinelli (Rifondazione) all’incontro «Healing the war-Guarire la guerra: esperienze e prospettive psicosociali in zona di conflitto» promosso dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. E ancora qualche discussione, forse, la solleverà il programmato faccia a faccia tra l’altro sottosegretario Di Santo (Ds) con il responsabile delle relazioni esterne del Frente Sandinista de Liberacion Nacional, Samuel Santos Lopez, su richiesta di quest’ultimo che giungerà a Roma da qui a qualche giorno per «uno scambio di vedute sulle prospettive delle prossime elezioni presidenziali e legislative che avranno luogo in Nicaragua il prossimo 5 novembre». Chissà come la prenderanno a Managua i partiti di governo, che temono aiuti economici all’opposizione sandinista...
Ma ancora, visto che per il ritiro dall’Irak qualcuno ha rispolverato la «sindrome Saigon», ecco che il vice-ministro Crucianelli sarà presente ad un seminario italo-vietnamita per la cui realizzazione (e pagamento, si suppone) si è impegnata - oltre la direzione generale per l’Asia della Farnesina -, anche la provincia di Roma, non si sa bene perchè.


Nell’Ulivo, dopo la vittoria, si giurava di solidi rapporti con Washington e di una ripresa di stretti contatti con Berlino e Parigi. Fin qui la linea emersa è tutt’altra: più che a quella di Zapatero somiglia a quella delle dirigenze populiste sudamericane di moda in questi ultimi tempi.

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