Attentato a Mosca, fedelissimi dello zar divisi: l'élite russa contro la "pista ucraina"

Alcuni esponenti di spicco del regime di Putin avrebbero detto al leader del Cremlino che non vi sono prove che attribuirebbero le responsabilità della strage alla Crocus City Hall ai servizi segreti di Kiev

Attentato a Mosca, fedelissimi dello zar divisi: l'élite russa contro la "pista ucraina"
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La propaganda russa sta spaccando il cerchio dei fedelissimi di Vladimir Putin. Stando a quanto riportato da Bloomberg, quattro dei più stretti collaboratori dello zar hanno cercato di convincerlo ad abbandonare la “pista ucraina” nelle indagini sull’attentato alla Crocus City Hall. Due esponenti di punta del regime, però, hanno preso posizione sul lato opposto della barricata.

Il segretario del Consiglio di sicurezza Nikolaj Patrushev, quando un giornalista gli ha chiesto se dietro all’attacco vi fosse Kiev o l’Isis, ha risposto: “L’Ucraina, naturalmente”. Il politico russo ha poi aggiunto che vi sarebbero “molte” tracce riguardo a un coinvolgimento delle autorità del Paese invaso. Della stessa opinione anche il direttore dell’Fsb Alexandr Bortnikov, che dal 2008 è a capo dei servizi di sicurezza interni. “Crediamo che l’azione sia stata preparata dagli stessi estremisti islamici e, ovviamente, facilitata dai servizi segreti occidentali”, ha dichiarato. “E che i servizi segreti ucraini siano direttamente coinvolti, hanno addestrato nazionalisti, mercenari e islamisti in Medio Oriente”. Bortnikov ha anche sottolineato che Kiev attendeva i terroristi “come eroi” e ha annunciato “misure di rappresaglia”.

Questa retorica fa il gioco di Putin, che pare intenzionato ad utilizzare l’attentato per unire la popolazione contro l’Ucraina e, forse, per preparare il terreno ad una nuova mobilitazione. Secondo fonti di Bloomberg interne al Cremlino, inoltre, puntare il dito contro Kiev gli è utile anche per distogliere l’attenzione dallo choc del fallimento dei servizi di sicurezza, che non sono riusciti a prevenire la strage. Gli stessi informatori avrebbero riferito che quasi nessun esponente dell’élite politica ed economica della Federazione è convinto che vi sia l’Ucraina dietro l’attacco.

I quattro oppositori di questa visione, dunque, non sembrano avere il potere e l’influenza necessaria a fermare lo zar, la cui versione dei fatti è stata anche parzialmente smentita dall’alleato bielorusso Aleksandr Lukashenko, il quale ha rivelato che gli attentatori hanno cercato di fuggire nei territori controllati da Minsk. Fin dai primi momenti dopo la sparatoria nella sala concerti, anche gli americani hanno insistito sulle responsabilità dell’Isis e sull’innocenza di Kiev.

La portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova, ha però ribaltato le affermazioni degli Usa, sottolineando che “il fatto stesso che nelle prime 24 ore dopo l'attacco gli americani abbiano iniziato a gridare che non si trattava dell'Ucraina ma dell’Isis credo sia una prova incriminante. Non posso classificarlo altrimenti: è una prova di per sé”.

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