
Questa mattina, dalla base della Royal Air Force di Fairford, sono decollati due bombardieri strategici statunitensi B-52H accompagnati da quattro aerocisterne KC-135 dell'U.S. Air Force diretti verso il Medio Oriente.
Sappiamo che sono diretti verso quella regione perché verso le 7:15 ora italiana stavano attraversando il cielo sopra il Mar Tirreno con rotta sud-est e sebbene non si sappia l'aeroporto di destinazione, data la scorta di aerocisterne è probabile che stiano effettuando un volo di pattugliamento a lungo raggio nella zona mediorientale, con un possibile scalo sulla base di al-Udeid in Qatar.
Voli di questo tipo da parte di bombardieri strategici dell'U.S. Air Force non sono una rarità: il comando bombardieri statunitense è impegnato a mantenere la capacità di dissuasione e deterrenza, mostrando sostegno nei confronti degli alleati, con campagne di dispiegamento in vari teatri, tra cui quello europeo, e con crociere di pattugliamento.
Da qualche mese però non si osservavano bombardieri diretti verso il Medio Oriente ed è pertanto plausibile che questa mossa sia stata dettata dalla volontà della Casa Bianca di alzare la posta sulla questione di Gaza con Hamas, stante il netto riavvicinamento tra Israele e Stati Uniti con l'avvento del presidente Donald Trump.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha infatti detto domenica che lui e il presidente Usa sono uniti nella loro strategia sul futuro di Gaza e stanno lavorando insieme sui prossimi passi. Netanyahu ha detto di aver parlato col segretario di Stato statunitense Mark Rubio "molto" di Gaza, aggiungendo che hanno discusso della visione audace del presidente Trump per Gaza, per il futuro di Gaza, e di come possono lavorare insieme per garantire che quel futuro diventi realtà.
Non è nemmeno un caso che il primo leader straniero ospitato alla Casa Bianca dal presidente Trump sia stato proprio il primo ministro israeliano all'inizio di febbraio. Più ancora, a supportare la tesi dell'invio dei bombardieri come forte messaggio ad Hamas, e quindi anche all'Iran, sono le dichiarazioni dello stesso Trump sulla questione degli ostaggi israeliani detenuti dal gruppo terrorista palestinese: la scorsa settimana il presidente aveva dichiarato che se tutti gli ostaggi israeliani rimasti non saranno rilasciati, allora “si scatenerà l'inferno”. Trump, come da suo stile ben consolidato, alla domanda dei giornalisti su cosa ciò significasse, ha risposto: “Lo scoprirete, e lo scopriranno anche loro. Hamas scoprirà cosa intendo”.
Bisogna infatti considerare che il neo presidente statunitense per cercare di ottenere i suoi obiettivi di politica estera ha dimostrato di voler alzare la tensione ai massimi livelli per poi fare marcia indietro quando la controparte è disposta a trattare.
L'esempio principe è dato dalla questione nordcoreana: nel giugno del 2018 si giunse allo storico vertice di Singapore tra Trump e Kim Jong-un non prima di settimane di dichiarazioni molto accese e soprattutto dopo che gli Stati Uniti ebbero dispiegato nell'area del Pacifico Occidentale una serie di assetti militari rilevanti (sottomarini, portaerei e bombardieri) per alzare la tensione.
Occorre però precisare che quella che ai tempi definimmo “carta coreana”, non ebbe lo stesso esito quando il presidente statunitense la giocò con l'Iran: il regime di Teheran, una volta che Washington ebbe stracciato il trattato sul nucleare, non venne a trattative.
Questa volta potrebbe essere diverso? La situazione geostrategica nel quadrante del Levante è decisamente cambiata con la caduta di Bashar al-Assad e con il deterioramento della presenza iraniana in
Siria, inoltre il forte ridimensionamento della presenza russa in quel travagliato Paese apre scenari in cui l'esito di un innalzamento della tensione dal punto di vista militare, con Hamas (e Teheran) potrebbe essere diverso.
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