
La Grosse Koalition è un marchio di fabbrica della politica tedesca. Nacque in un tempo altro rispetto al nostro, e in altro contesto internazionale. Quando la Guerra fredda aveva penetrato la Germania come lama di coltello, fino a dividerla in due. Quando, per questo, in quella democratica (nella realtà dei fatti e non nel nome) i comunisti non avevano cittadinanza. E tanto meno l'avevano gli estremisti dell'altra parte. Perché un'estrema destra non la si poteva neppure immaginare. Non lo consentiva la storia e non lo consentì la Costituzione. In questo contesto, così differente da quello sia francese che italiano, nel 1959 la Spd (non un partito socialista qualunque) conobbe la sua Bad Godesberg. Ripudiò la rivoluzione e il marxismo e scelse la democrazia. Sicché, nella Germania federale, per i due schieramenti contrapposti mettersi insieme, ancor più che un'emergenza, divenne una variante del fisiologico funzionamento del sistema.
Parliamo oggi della stessa Grosse Koalition? No, perché la Guerra fredda è finita e perché la Germania si è riunificata. Ma c'è dell'altro. Il fatto è che, per come vi si è giunti, il voto di domenica si è configurato come un'autentica sfida al sistema. Alternative für Deutschland, con l'appoggio esplicito dell'amministrazione Trump, ha provato a forzare storia e coordinate della politica tedesca. Non ha vinto, ma ha superato la fatidica soglia del 20%. Ha raggiunto, per di più, nelle terre che furono della Ddr, percentuali «sovietiche». E il suo risultato ha messo in crisi la socialdemocrazia più rappresentativa del Vecchio Continente. L'ha ridotta al 16%. Soprattutto, l'ha posta difronte all'enigma weberiano, per il quale si trova ora a dover scegliere tra l'etica della convinzione e quella della responsabilità. Tutto ciò, in un Paese minacciato da una crisi economica tanto profonda quanto inedita, e che conosce bene i possibili riverberi politici di tale tipo di crisi.
Nella storia della Germania la pagina di Weimar è scritta, infatti, a caratteri indelebili. I tedeschi sanno che con una forza antisistema arrampicatasi fino al 20% non si scherza. Per scongiurare che possa bloccarsi la dinamica politica, dunque, è necessario fare blocco. Può, però, non bastare. Serve anche - e soprattutto - una politica che sappia sconfiggere la crisi. Ed è questa la Grande Sfida che la Grande Coalizione si prepara ad affrontare. È sfida che concerne la politica interna, senza dubbio. Ma anche - e per certi versi di più - la politica estera. Perché la Germania - quella che era veramente democratica - è stata sempre naturalmente europea e filoatlantica. Gli americani, per di più, l'hanno sempre considerata tale, persino quando Brandt si esercitava con la ostpolitik. È stata la loro garanzia contro gli attacchi di grandeur della confinante Francia. Al punto che Kennedy alla porta di Brandeburgo resta qualcosa di più di un'immagine scolorita: la matrice di una storia, solo da ultimo violata.
È stato strano ascoltare chi governa l'America parteggiare, in Germania, per gli avversari del sistema. E se lo è stato per noi, è facile immaginare quanto debba esserlo stato per chi lì si appresta a governare. Per loro non sarà facile. Dovranno provare a preservare, in questo contesto, la vocazione euro-atlantica del Paese. È su questo terreno, però, che la Grosse Koalition giocherà la sua partita più importante.
Per la sua tenuta, per la sua riuscita e anche per tutti quelli non rassegnati a dare per morta la prospettiva euroatlantica. E che, per questo, oggi ancor più di ieri hanno bisogno della sponda di una Germania forte, che non si rinchiuda in difesa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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