Chip Usa (e Ue) nelle armi russe: il trucco di Putin che alimenta la guerra

Diverse analisi degli esperti riscontrano il ritrovamento di numerose componenti occidentali nelle armi russe. In particolare, le caratteristiche della catena di distribuzione dei microchip creano buchi nel regime di sanzioni imposto contro Mosca

Chip Usa (e Ue) nelle armi russe: il trucco di Putin che alimenta la guerra
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Alla vigilia del secondo anniversario della guerra in Ucraina il bilancio non è dei più confortanti. Il fallimento della controffensiva lanciata da Kiev, lo stallo dei combattimenti al fronte e il calo degli aiuti militari occidentali all’esercito di Zelensky stanno incoraggiando nuove pericolose iniziative dell’esercito aggressore russo. Ad aggiungere ulteriori motivi di preoccupazione l’agenzia giornalistica Bloomberg che ha avuto accesso a dati classificati dell’agenzia delle dogane di Mosca ha rivelato come l’anno scorso un quantitativo di semiconduttori avanzati del valore di un miliardo di dollari prodotti in aziende degli Stati Uniti e dell’Europa sia riuscito ad entrare in Russia e sia stato impiegato nell’industria bellica della Federazione. Il tutto nonostante il pesante regime di sanzioni imposto dalla coalizione occidentale a partire dal febbraio del 2022.

Tra le armi russe nelle quali sono stati ritrovati componenti realizzati in Paesi dell’Occidente ci sono i droni. In particolare nei temuti Lancet sono stati individuati componenti costruiti da aziende statunitensi, ceche e svizzere. Rilevazioni simili interessano anche gli Shahed-136, i droni forniti a Mosca da Teheran che adesso vengono costruiti in Russia sempre grazie al supporto dell’alleato iraniano. Sulla base delle scoperte fatte in merito, un report dell’Institute for Science and International Security afferma che i russi siano dipendenti da fornitori occidentali per la realizzazione dei loro droni.

Le criticità del settore bellico della Federazione in termini di semiconduttori, componenti elettrici e macchinari erano ben note già prima dell’invasione dell’Ucraina e per questo motivo la coalizione internazionale guidata da Washington si era mossa con rapidità imponendo restrizioni sull’export di elementi fondamentali per l’esercito aggressore. La Russia, ricorda una nuova analisi di Foreign Policy, è diventata infatti il Paese contro il quale sono state stabilite più sanzioni. Nello specifico si parla di misure approvate da 39 nazioni nei confronti di 16mila persone o aziende.

Sebbene bisogna tener conto che una parte degli armamenti siano stati accumulati prima del conflitto, la stessa rivista evidenzia però come successivamente i controlli sulle esportazioni siano falliti e “un flusso di elettronica avanzata e macchinari” raggiunga quindi la Federazione attraverso “una nuova e complessa catena di distribuzione” che coinvolge Paesi terzi come il Kazakistan, la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti non aderenti alle misure occidentali.

Un’inchiesta condotta da Nikkei Asia ha mostrato che subito dopo lo scoppio del conflitto si sarebbe registrato un aumento di dieci volte dell’esportazione di semiconduttori dalla Cina e da Hong Kong alla Russia, la maggior parte dei quali di fabbricazione americana. La Kiev School of Economics ha poi riscontrato un calo di appena il 10% nei primi dieci mesi del 2023 delle importazioni nella Federazione di materiali considerati essenziali per la guerra rispetto ai periodi precedenti e ha riassunto la situazione definendola uno scenario kafkiano in cui “l’esercito ucraino combatte con armi occidentali contro l’arsenale russo a sua volta alimentato da componenti occidentali”.

Uno dei problemi principali sembra quindi riguardare la vasta catena di distribuzione sfruttata dai produttori di semiconduttori che interessa molteplici Paesi. I microchip vengono infatti progettati in una nazione, realizzati in un’altra e venduti ad una serie di distributori in tutto il mondo rendendo complesso per le aziende conoscere il ricevitore finale dei loro prodotti.

Inoltre, il punto debole della catena sarebbe la Cina, partner di Mosca, che nonostante gli avvertimenti lanciati dal dipartimento del Commercio americano starebbe continuando ad ignorare le restrizioni stabilite contro l’export in Russia. Washington è però consapevole che una parte del problema potrebbe essere affrontata aumentando le sanzioni contro le stesse imprese Usa al momento non incentivate ad assumere un approccio proattivo al fine di evitare che i loro prodotti finiscano in mano russa.

Dalla situazione attuale emerge infine un aspetto che non è possibile sottovalutare.

La capacità della Russia di Putin di sfuggire alle restrizioni non ha solo implicazioni per la guerra in Ucraina. Infatti, scrive Foreign Policy, “essa solleva interrogativi significativi sulla sfida futura contro la Cina”.

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