
Uno di fronte all'altro, occhi negli occhi, le mani accartocciate vicino alle ginocchia, seduti su poltroncine raccattate all'ultimo momento, con un vescovo che si intravede di striscio mentre si affretta a rimettere al suo posto la terza di troppo. Sembra una scena da bar, uno qualsiasi di questa terra desolata, solo che i due sono sotto la cupola, dentro la basilica, il cuore della cristianità. Sono a San Pietro e se uno ci crede sembra quasi un miracolo. Che ci fanno lì? Cosa si stanno dicendo? Questa foto, qualsiasi cosa accada domani, non passerà. Stara lì nei secoli dei secoli e ognuno cercherà di interrogarla a modo suo, con ricordi che ora non possiamo conoscere e forse qualcuno dirà che è l'attimo in cui si intravede la pace o, per sfortuna, quella pausa che assomiglia a un'illusione. No, non si sa come andrà a finire e quale sarà il significato di questa immagine. È solo uno scatto sospeso sotto il cordo di un funerale.
È indaffararsi degli umani nella casa ufficiale di un Dio che non si vede. È un gioco d'arte. È come se quei due fossero Marina Abramovic, artista estemporanea, che al Moma di New York ritrova ventitré anni dopo sulla sedia vuota davanti a lei Ulay, l'amore della sua vita, e piange e gli stringe le mani. È quello che non ti aspetti e ti apre prospettive infinite. È un'improvvisazione. È proprio quello che è successo ieri. Donald Trump ha una postura inedita per il suo carattere. È piegato in avanti, vicino all'altro che ha di fronte, e per una volta appare come qualcuno disposto ad ascoltare. Non parla, sente. Non si vedevano da quello show di pubblica e inutile umiliazione nello Studio Ovale. Washington è lontana. La grande chiesa bianca dove si sono ritrovati tiene fuori il resto del mondo. È uno spazio sacro dove la storia si perde. È come smarrirsi in un'anomalia. Queste cose i due non se le confessano. Accadono e nessuno può davvero dire quale sia il confine tra la finzione, perfino divina, e la realtà. L'unica certezza è che le regole
non sono le stesse, improvvisamente nello spazio vuoto tra le sedie le carte sono cambiate. Non è solo una questione di volontà di potenza. Qui bisogna inventarsi la pace, cose che succedono solo ai margini di un funerale. Qualcosa di nuovo si vede anche nella figura di Volodymyr Zelensky. È il vestito, certo. Sulle spalle ha una (simil)giacca che aveva promesso di indossare a guerra finita e invece per rispetto a Francesco che se ne va nella terra nuda si è tolto la divisa.
Non è questo il giorno per sentirsi eroe. C'è qualcosa nel suo sguardo. C'è una speranza, uno spirito inatteso che in questi giorni si respira nell'aria, come una parola chiara e invisibile. In principio era il verbo.Vittorio Macioce
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