![Le foto dell'orrore che ci riportano al 1945](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2025/02/09/1739084514-23105853-small.jpg?_=1739084514)
Alla fine del febbraio 1945 fra i primi rapporti su Auschwitz il luogotenente polacco Witlinski scriveva quello pubblicato sul Polpress bulletin: «Coloro che sono sopravvissuti, non sono più essere umani, sono solo delle ombre». Così Hamas ha voluto che Israele e tutto il mondo vedessero i tre rapiti liberati ieri, come usciti da Auschwitz: ridotti a ombre, piegati a salire barcollando sul loro palcoscenico dopo aver patito botte, fame, freddo, buio, senza carne sulle ossa, gli occhi come fosse nere, pallidi come chi esce da una grotta dove è stato seppellito. Così sono riapparsi davanti al mondo Eli Sharabi di 52 anni, Ohad Ben Ami di 56 anni, Or Levy di 34 anni. Sul palcoscenico costruito a Dir El Bala, una delle cittadine di Gaza meno toccate dalla guerra, dove non è mancato il cibo, era scritto «noi siamo la Nukba», l'inondazione, e lo faremo di nuovo. Sorretti dai nazisti di Hamas con le divise e le maschere, davanti alle telecamere di Al Jazeera, i rapiti hanno ascoltato una concione e poi ciascuno è stato costretto a parlare. Eli Sharabi ha sentito là, dalla bocca del terrorista mascherato, che suo fratello Yossi era stato ucciso. Ma non è chiaro se sappia che sua moglie e le sue due figlie sono state trucidate nella loro casa a Be'eri mentre lui veniva rapito. Ohad Ben Ami, la cui madre ha detto che dimostra ormai 80 anni, ha ritrovato la moglie rapita con lui a Be'eri e poi rilasciata a novembre del 2023, Ohad
siede nelle foto accanto a lei mentre la abbraccia, irriconoscibile e sorridente, ma di lei si scrive che abbia una seria malattia. E Or, ormai uno stelo, alla festa di Nova era coperto dal sangue di sua moglie che ha cercato invano di difendere; torna dal suo bambino di tre anni, che si è salvato e sa dai nonni che se la mamma tornerà, però il babbo è tornato.
La Nukba continua nonostante le sconfitta di Hamas. La loro disgustosa crudeltà si affaccia da ogni galleria di Gaza. Le foto dei tre quando erano uomini forti e normali, ritratti con le mogli, con i figli fanno impazzire di rabbia: almeno i primi 13, forse rinvigoriti artificialmente con vitamine nelle ultime settimane, anche se la loro vita era ormai minata, facevano sperare che il ritorno sarebbe stato accompagnato dalle immagini di un futuro recuperato, possibile. Ma non è così: questo è Hamas, un'organizzazione che ha compiuto i crimini più immondi che mente umana possa concepire, che ha decapitato i bambini, tagliato a pezzi le donne che stuprava, bruciato famiglie intere. Quello per cui il presidente Trump - affrontando il tema per quello che è, come una minaccia terrorista irriducibile - ha disegnato l'atteggiamento americano sulla necessità di liberarne Gaza e il mondo intero. Ho visto le immagini spaventose del 7 ottobre, ha detto, e ho capito. In molti, l'Onu in primis, non hanno capito niente. Certo ora l'idea di eliminare questa forza malefica dall'area non può che rafforzarsi anche in Israele, e con essa il disegno di affrontarne l'origine pratica, l'Iran.
Adesso sul tavolo c'è la seconda parte dell'accordo che libera subito il passaggio di Netzarim e rilascia anche gli assassini palestinesi con più ergastoli. Il messaggio di Netanyahu, per cui le immagini di ieri non resteranno senza risposta, e Gal Hirsch (responsabile per i rapiti) che vuole intimare a Hamas di smettere coi maltrattatamenti sono un palliativo perdente. La risposta è nelle cose, e deve solo essere praticata: Hamas vuole Auschwitz, ma Israele ne è l'antitesi storica, lo impedirà come ha già fatto dopo il 7 ottobre con la sua forza, il suo esercito, col valore con cui ha abbattuto Hamas, Hezbollah, con cui ha occupato le strutture armate della Siria e messo all'angolo l'Iran. D'altra parte però Netanyahu ha il solito dilemma: Hamas gli chiede con la mostra dei suoi orrori proprio il cessate il fuoco e la sopravvivenza. Per Israele è la quadratura del cerchio: liberare i rapiti mentre si elimina Hamas non può avvenire in pochi giorni, ma solo in un disegno strategico che dura mesi. La sofferenza e la rabbia ribollono insieme.
La pazienza sembra la prima arma a disposizione, e poi un piano radicale e deciso, come quello di Trump, che porti nel gioco forze nuove e determinate. Mediatori come il Qatar sono complici di Hamas: questa è la prima cosa da cambiare. Trump dovrebbe averlo capito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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