"Patto di sangue" a Beirut: cosa svela la foto del terrore tra Hamas, Jihad islamico e Hezbollah

I leader delle tre organizzazioni si sono incontrati nella capitale libanese, probabilmente per compattare il fronte ed elaborare una strategia comunque contro lsraele

"Patto di sangue" a Beirut: cosa svela la foto del terrore tra Hamas, Jihad islamico e Hezbollah
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Il filo rosso che lega i terroristi di Gaza alle altre frange estremiste della regione è ormai conclamato. Hamas, Jihad islamico palestinese e Hezbollah sono i tre burattini protagonisti del teatro del Medio Oriente, a cui si aggiunge una piccola galassia di gruppi minori filo-sciiti attivi in Siria e Iraq. A reggere i fili, neanche troppo dietro le quinte, è l’Iran. Quando si tratta la guerra tra Israele e Hamas, dunque, bisogna prendere in considerazione tutte le altre parti coinvolte. Si definiscono l’”Asse della Resistenza” al regime sionista. Visti i metodi con cui portano avanti la loro battaglia, sarebbe più opportuno chiamarlo “Asse del Male”.

I tre capi-burattini si vedono a Beirut mercoledì 25 ottobre, a più di due settimane dall’inizio della guerra. Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, è seduto in una stanza assieme al vicecapo di Hamas Saleh Al Arouri, fondatore delle brigate al-Qassam, e alla guida del Jihad islamico palestinese Ziad Al Nakhalah, l’uomo che rifiuta ogni tipo di dialogo con Tel Aviv e sponsorizzato numero uno di Teheran. Uno scatto li immortala uniti in una riunione per “valutare le posizioni assunte a livello internazionale e regionale”, sotto il vigile sguardo dei ritratti degli ayatollah Ruhollah Khomeini e Ali Khomeini.

Secondo la stampa israeliana l’incontro equivale ad un patto di sangue, che però è già annacquato dalla reticenza del partner di maggioranza, l’organizzazione terroristica libanese, ad entrare ufficialmente in guerra al fianco dei fratelli palestinesi. Con il Paese piagato da una grave crisi economica e ancora ferito dalla devastante esplosione nel porto di Beirut, nessuno in Libano vuole una guerra. Gli Hezbollah, dunque, si limitano all’appoggio ideologico e a scaramucce con le Idf, piccoli attacchi e lanci di missili a cui gli israeliani rispondono con droni, caccia e artiglieria. In alternativa, fanno intervenire le milizie satelliti in Yemen e Iraq.

Una presa di posizione cauta, che spiazza e irrita Hamas. “Le parole di solidarietà sono importanti e ne siamo grati”, commenta Khaled Meshaal, uno dei leader dei terroristi palestinesi che, evidentemente, si aspettavano un supporto più concreto. Nasrallah, però, non muove un muscolo senza l’approvazione dell’Iran e Teheran sembra non voler dare luce verde all’apertura di un secondo fronte. Anzi, la Repubblica islamica nega anche di aver aiutato Hamas nell’organizzazione del blitz del 7 ottobre e si scaglia contro chi gli attribuisce questa responsabilità. “Il segretario americano Anthony Blinken sta tentando erroneamente d’incolparci per la guerra di Gaza. Un’accusa che respingiamo”, ripete l’ambasciatore iraniano all’Onu Sayd Iravani.

L’incontro di Beirut potrebbe segnare un cambio di passo, una serrata dei ranghi dell’Asse del Male per elaborare una vera strategia comune e costringere Israele a combattere su più fronti una guerra estenuante.

Tutto dipende dall’Iran e da quanto intende provocare non solo Tel Aviv, che ha già promesso una “risposta devastante”, ma anche gli Stati Uniti, tornati in forze nello scacchiere mediorientale e pronti a supportare l’alleato ebraico fino alla fine del conflitto.

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