Mentre sedici stati si apprestano alla corsa del super Tuesday, domani un gigante della politica americana lascerà il suo incarico: John Kerry, 80 anni da poco compiuti, primo inviato speciale per il clima degli Stati Uniti, si dimetterà da un ruolo chiave che ha permesso all'amministrazione Biden di tenere in piedi la diplomazia climatica sulla quale ha fondato parte della sua credibilità nella campagna del 2020.
Kerry e l'omologo cinese Xie lasciano
La notizia non ha sorpreso nessuno, poichè l'annuncio del "pensionamento" del senatore Kerry era giunta alla Casa Bianca lo scorso gennaio, quando in un incontro privato aveva formalizzato la sua volontà di non procedere con l'incarico. Kerry lascia in un momento in cui la diplomazia climatica si è impantanata nel bezzo di altre emergenze, sebbene portando a casa l'accordo di Dubai in occasione della COP28, che lo ha visto protagonista assieme al suo omologo cinese Xie Zhenhua, "mago" del clima di Pechino, richiamato in servizio nel 2021 proprio per rispolverare il il "clima del 2015". Insieme, i due hanno pilotato l'accordo in questione che, sebbene sia considerato evanescente, per molti è una sana porta aperta verso Pechino, una zona franca dove le due potenze possono abbandonare i toni accesi alla Anchorage, per intenderci.
Anche per questo, il risultato di Dubai, nelle parole di Kerry costituisce il punto più alto degli sforzi trentennali mondiali per ridurre il consumo di combustibili fossili. L'ironia del destino vuole che anche "lo zar cinese del green" abbia deciso di andare in pensione. La diplomazia climatica, dunque, perde ben due pezzi da novanta che, nai fatti, hanno contribuito a dossier che vanno ben oltre il "mero" clima, e che è stato propedeutico a importanti tentativi di disgelo di cui Kerry si è fatto carico in prima persona, anche nei momenti di down del suo presidente.
Il ruolo di Kerry nelle elezioni Usa: tre ipotesi
Se sia solo l'età la ragione del ritiro di Kerry non è dato sapere, anche se, a gennaio come nelle ultime settimane, si è vociferato a lungo di un ruolo nella campagna elettorale di Joe Biden, sebbene nel suo prossimo futuro non si preveda alcun incarico formale nel quale imbrigliarlo. La domanda, a questo punto, è lecita: quale sarà il peso della fine dell' "era Kerry"? Più di qualche osservatore in campo Gop ha maliziosamente visto la mossa come una rinuncia dell'amministrazione Biden a perseguire i propri obiettivi sull'ambiente: due ottuagenari al comando sul tema forse sono troppo per parlare di futuro.
Difficile fare una previsione. Quattro anni fa l'amministrazione Biden faceva del suo lato green una bandiera elettorale, sia in campo domestico che internazionale: del resto, questa è una delle ragioni per cui gli under trenta hanno premiato i democratici nel 2020 e alle elezioni di metà mandato. Vi è poi una seconda ipotesi: Kerry al momento serve per irrobustire la credibilità del presidente Biden. Egli porta con sè non solo l'expertise sul clima, ma l'esperienza di diplomatico e di negoziatore di lungo corso, oltre che un cursus honorum che comprende-tra le altre cose-il Dipartimento di Stato dell'era Obama, un ruolo di senior del partito e del Senato, ma soprattutto la nota missione cinese del 2021, compiuta da ultrasettantenne, malato di cancro e in piena pandemia.
L'idea potrebbe essere quella di scatenare "l'effetto Obama+Clinton" già esperito alle midterm, con una differenza, però: Kerry è decisamente meno "pop" dei due ex presidenti e la sua presenza sul palco potrebbe allontanare le frange conservatrici dei dem. Ergo, andrà esposto sui palchi giusti. Oppure ancora, terza ipotesi, Kerry sarà utile esattamente nel ruolo che già possiede: a lui l'ingrato compito di sbugiardare i negazionisti climatici nel Maga, tentando di mettere in ridicolo Trump e la sua impreparazione sul tema, per aggiungere pepe alla competizione elettorale da qui a novembre.
Chi sostituirà Kerry?
Quello di Kerry, tuttavia, non sarà un addio totale alla battaglia per il clima: intende, infatti, seguire il prossimo ciclo di negoziati che si terrà a Baku, anche nel caso in cui non dovesse essere la guida della squadra statunitense. Kerry ha infatti un'idea chiara del futuro sul tema: concentrarsi sul settore privato (che gestisce miliardi di dollari), piuttosto che su quello pubblico. Questa volontà di non chiudere la battaglia con il proprio pensionamento non dovrebbe stupire secondo Douglas Brinkley, suo biografo nel 2004: Kerry è stato uno dei giovani del primo earth Day del 1970, pertanto le politiche conservazioniste sono e resteranno un punto fermo della propria carriera politica. Ma qualunque sarà il suo prossimo ruolo, perdendo un compagno di battaglie come Xie, il futuro delle negoziazioni Cina-Usa sul tema, con la moral suasion che questo tandem è in grado di ingenerare, sembra più che mai incerto.
Sulla successione, negli scorsi mesi sono state formulate numerose ipotesi. A fine gennaio, la Casa Bianca ha annunciato che il consulente senior John Podesta avrebbe rimpiazzato Kerry nel suo ruolo: e le parole qui sono importanti. L'annuncio, infatti, ha teso a sottolineare che Podesta acquisirà le funzioni di Kerry ma non il suo titolo. Podesta è un veterano del clima nelle passate amministrazioni democratiche, abituato a lavorare dietro le quinte.
Lo scorso anno è stato richiamato dalla presidenza Biden per mettere in atto l'ambizioso programma sull'ambiente per il quale sosno stati stanziati i 375 miliardi di dollari della legge sul clima del 2022. Il fatto che non erediterà il titolo potrebbe significare che per Kerry potrebbero ancora esserci missioni ad horas, ove il suo nome sarà la credenziale più importante di qualsiasi proposta americana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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