Che non veda di buon occhio i talebani è risaputo. Del resto c'è poco da stupirsi: Malala Yousafzai ha rischiato la vita, quando aveva solo quindici anni, gravemente colpita alla testa da un gruppo di talebani armati saliti a bordo dello scuolabus con cui lei stava tornando a casa dalla scuola. Viva per miracolo, i talebani rivendicarono l'attentato dicendo che la ragazza era "il simbolo degli infedeli e dell'oscenità". Nel 2014 le fu assegnato il Nobel per la Pace "per la loro lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all'istruzione". Da allora non ha mai smesso di portare avanti la sua battaglia.
Intervenuta a un summit sull’istruzione delle ragazze nei Paesi musulmani svoltosi a Islamabad, in Pakistan, Malala ha rivolto un appello ai leader musulmani esortandoli a non "legittimare" il governo talebano afghano e a "mostrare una vera leadership" opponendosi alle loro restrizioni all’istruzione di donne e ragazze. "Come leader islamici, ora è il momento di alzare la voce, usare il vostro potere. Potete mostrare vera leadership", ha detto l'attivista per i diritti umani.
Non stupisce il fatto che i talebani non abbiano voluto partecipare all'incontro. "Un invito era stato fatto all’Afghanistan - precisa il ministro dell’Istruzione pakistano Khalid Maqbool Siddiqui - ma nessuno del governo afghano è presente alla conferenza".
Le accuse a Israele
Malala si è soffermata anche su ciò che sta avvenendo nella Striscia di Gaza, puntando il dito contro Israele. "A Gaza, Israele ha decimato l'intero sistema educativo. Hanno bombardato tutte le università" e "hanno preso di mira indiscriminatamente i civili che si rifugiavano nelle scuole".
E ancora: "Continuerò a denunciare le violazioni israeliane del diritto internazionale e dei diritti umani. I bambini palestinesi hanno perso le loro vite e il loro futuro. Una bambina palestinese - ha concluso - non può avere il futuro che merita se la sua scuola viene bombardata e la sua famiglia uccisa".
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