
«L'Europa è nata per fregare l'America. Questo era l'obiettivo e hanno fatto un buon lavoro». L'ha detto pochi giorni fa Donald Trump e non si può dubitare che ne sia convinto. Il presidente Usa sarebbe, però, sorpreso nello scoprire (ammesso che abbia qualche reale interesse per il tema) che in realtà i primi a volere un'Europa unita e federalista furono proprio gli americani. E che anzi a suo tempo qualche tensione tra le due sponde dell'Oceano ci fu; ma solo perché Washington voleva una maggiore integrazione e le più importanti capitali europee facevano finta di non sentire o peggio cercavano di ostacolare il progetto Usa.
Il punto di partenza è la fine della Seconda guerra mondiale e la dottrina del presidente Harry Truman sulla lotta al totalitarismo comunista attraverso la ricostruzione economica del Vecchio Continente. Lo strumento concreto scelto, il programma di aiuti conosciuto come piano Marshall, aveva, secondo gli americani, un rischio: che gli europei incassassero i soldi in arrivo e poi ricadessero nel vecchio nazionalismo protezionistico che aveva contributo alla crisi europea degli anni Trenta. Bisognava fare di tutto per evitarlo. E la strada da seguire era semplice: usare il modello americano per avviare quelli che allora ancora nessuno si sognava di chiamare Stati Uniti d'Europa.
Servivano investimenti produttivi ma anche mercati liberi, senza barriere tariffarie o regolamentari, e istituzioni aperte. «L'unità europea attirava gli americani per diverse ragioni», ha scritto Diane Kunz, storica della Columbia University. «Non ultima la convinzione, originata dal profondo della psiche americana, che la strada migliore per l'Europa fosse di imitare il più possibile gli Stati Uniti».
Le delegazioni di Washington cercarono di evitare che i Paesi Europei destinatari degli aiuti presentassero ognuno una «lista della spesa» senza tenere conto del contesto. Proposero un'unica struttura di pianificazione continentale che si incaricasse di coordinare e di smistare i fondi provenienti dall'America. Doveva trattarsi, dissero, di «un'organizzazione stabile». Per qualcuno l'idea poteva andare bene, ma gli oppositori più rigidi furono Gran Bretagna e Francia che ritenevano di avere più margine di manovra negoziando direttamente con Washington senza passare per un intermediario comune.
Alla fine il compromesso fu trovato attraverso la creazione di un organismo, l'Oece (Organizzazione europea per la cooperazione economica) che doveva favorire la ricostruzione e del commercio intereuropeo e controllare la distribuzione degli aiuti del Piano. L'organismo, che sopravviverà fino al 1961 per trasformarsi nell'attuale Ocse, era ben lontano dall'avere i poteri che gli americani volevano attribuirgli. Tra i funzionari di vertice dominavano francesi e britannici, che avevano trovato in questa maniera il modo di mantenere una posizione privilegiata, ma ogni Paese poteva porre il veto sulle decisioni comuni.
Nel discorso di apertura del primo Consiglio dell'organizzazione il direttore dell'agenzia che da Washington gestiva il Piano Marshall, Paul Hoffman, un uomo d'affari favorevole all'Unione tra i Paesi europei, disse che le nazioni aderenti all'Oece avrebbero dovuto evitare di pensare «secondo gli antichi criteri separatisti», invitando i partecipanti a ragionare «come se la capacità e la forza economica dell'Europa fossero beni comuni».
La fine della storia è nota: il piano Marshall contribuì in maniera decisiva alla ripresa post-bellica dell'Europa. E anche l'Unione europea, sia pure per strade diverse e non sempre lineari, si è fatta un po' alla volta strada.
A tutto questo gli americani hanno dato il loro
contributo. Ma erano americani che credevano ai valori del Paese di una volta: mercati aperti e liberi, collaborazione internazionale per trovare tutti un reciproco vantaggio. Molto più difficile capire a cosa creda Trump.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.