Biden e Trump volano in Texas: è sfida sulla bomba migranti al confine

Schermo diviso nel rovente Texas: al centro dei discorsi di Trump e Biden la questione del confine meridionale, ma due strategie di comunicazione diverse. Da un lato, il "buon samaritano" bipartisan, dall'altro, il comandante in capo "pronto alla guerra"

Biden e Trump volano in Texas: è sfida sulla bomba migranti al confine

A quattro giorni dal super Tuesday, l'aria in Texas si fa rovente. Nella giornata di ieri, infatti, lo "Stato della stella solitaria" è stato interessato, contemporaneamente, dai rally di Joe Biden e Donald Trump, rispettivamente a Brownsville e Eagle Pass. In passato, era cosa arcinota che i candidati alla Casa Bianca evitassero di ritrovarsi nelle medesime ore negli stessi luoghi, per non rubarsi la scena a vicenda: ma che queste elezioni Usa siano tutta un'eccezione è chiaro da tempo.

L'afflato bipartisan e i funambolismi verbali di Biden

Dall'appuntamento texano in molti attendevano un duello a distanza sulla questione immigrazione: la questione del confine meridionale ha sì tenuto banco, ma in maniera differente, trasformandosi in dibattito sui massimi sistemi, sulla visione dell'America del futuro prossimo. Uno schermo diviso che ha lasciato sul campo un insolito effetto: i due candidati hanno finito per concordare sull'insostenibilità dei flussi migratori da sud. Ovviamente, com'è logico che sia, sono differenti le strategie che i due intendono perseguire per fermare l'emorragia di clandestini che raggiunge ogni anno gli Stati Uniti.

Sulla bilancia delle elezioni Usa, la questione migranti punta a pendere decisamente a favore di Trump, essendo uno dei punti chiave per attaccare la controparte democratica, usandola come grimaldello per la Casa Bianca. Dalla sua, Biden porta con sè il fallimento di un accordo bipartisan sulla questione, che avrebbe posto un freno alle richieste d'asilo e alla circolazione del fentanyl. Un fallimento talmente gravoso, da sperare che possa pesare allo stesso modo sui Repubblicani. Ma il vero colpo di scena è giunto alla fine del discorso del presidente, in cui Biden ha cercato di tendere la mano agli avversari (in Texas non si può sperare di fare altrimenti): "Unitevi a me" ha esalato candidamente: "Oppure mi unirò io a te". Difficile immaginare a chi stesse parlando Biden, se ai Texani o a The Donald, tuttavia il giochino psico-linguistico alla Jfk, è e sarà una delle tante strategie a cui assisteremo da qui fino a novembre.

Trump, il comandante in capo pronto alla guerra

La scenografia dell'ingresso di Trump al suo discorso ha seguito un filone nettamente diverso, ma decisamente jacksoniano. Filo spinato, Humvee militari, strette di mano con la Guardia Nazionale del Texas in tenuta mimetica: il tycoon predilige la narrazione da comandante in capo pronto alla battaglia e a respingere orde di "invasori". "Questa è come una guerra", ha tuonato, puntando immediatamente il dito contro l'avversario, le cui mani sarebbero-a suo dire-insanguinate- a causa dei numerosi crimini commessi dai clandestini negli Usa. Dalla sua ha il governatore dello Stato, il repubblicano Greg Abbott, ma anche Ted Cruz, pasionario degli ultraconservatori.

"Non sarò un dittatore", promette Trump, precisando che l'esercizio autoritario del potere riguarderà esclusivamente il suo day 1, quando metterà in azione una serie di piani per chiudere i confini degli Stati Uniti e riportare l'ordine nel Paese grazie a un trust di facilitatori ed esecutori esperti di diritto, che possano depurare tutte le iniziative della presidenza da eventuali ostacoli costituzionali. Ma più di qualcuno si chiede se tutti i proclama di Trump sul confine meridionale diverranno davvero una guerra ai clandestini: "La percezione è più importante della realtà", risponde qualcuno degli intervenuti, e c'è da attendersi che anche solo la notizia del ritorno del leader Maga alla Casa Bianca potrebbe frenare di per sè i flussi migratori da sud.

Il Texas alle prese con importanti cambiamenti

Sebbene i risultati in Texas possano sembrare scontati, sia per tradizione politica che per le emergenze che affronta, negli ultimi anni si assiste con interesse all'emergere di una piccola corrente progressista nell'elettorato texano, strettamente legata alla crescita esponenziale della popolazione urbana e suburbana. Un importante mutamento demografico, indotto dall'insostenibilità dei costi della vita in California, che avrebbe portato numerosi lavoratori dello Stato a riparare in Texas. Ma non solo.

Questi mutamenti economici, sociali e demografici stanno spingendo anche la generazione Z dello Stato verso circoli culturali e think tank di stampo liberal, ove i temi ambientali e le moral issues sono i cardini della formazione politica dei più giovani. Un cambio di passo segnato soprattutto dal triangolo Houston, San Antonio e Austin, che fa registrare un'effervescenza politica e culturale che nessuno si sarebbe aspettato in Texas.

Quanto basta da ribaltare il colore dello Stato? Presumibilmente no, ma è certo che questi mutamenti daranno filo da torcere al Gop nelle primarie come a novembre, facendo del tema caldo dell'immigrazione non più l'unico perno delle campagne presidenziali nello Stato.

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