Che agitare lo spettro del fascismo fosse utile, da sinistra, in una campagna elettorale povera di temi era ben noto in Italia, ma non eravamo abituati a scoprire la stessa abitudine in America. È questa la denuncia di J.D. Vance, candidato vicepresidente repubblicano di Donald Trump, nel corso di una cena della Georgia Faith & Freedom Coalition ad Atlanta, in Georgia. «Possiamo essere in disaccordo l'uno con l'altro, possiamo discutere tra noi, ma non possiamo continuare a dire al popolo americano che un candidato è un fascista e che, se sarà eletto, sarà la fine della democrazia».
La risposta non si è fatta attendere, con l'accusa democratica rivolta a Trump di aver definito Kamala Harris una marxista nell'ultimo dibattito tra candidati e averlo ribadito, per di più, altre cinque volte nei giorni successivi, cominciando da un comizio in Arizona e chiudendo in una conferenza stampa a Los Angeles. «Nessuno ha cercato di uccidere Kamala Harris negli ultimi due mesi - ha concluso Vance - e questa è una prova piuttosto evidente del fatto che la sinistra debba abbassare i toni della sua retorica». E se può non interessare il rimpallo di accuse, un po' fanciullesco quanto utile a fomentare i rispettivi elettorati, certamente la campagna elettorale americana non è mai stata avvelenata come oggi. Non è mai successo che un candidato alla presidenza subisse due attentati nel giro di due mesi.
Tira una brutta aria, le ultime settimane di campagna saranno vissute in un clima da allerta. Un clima utile soprattutto ai democratici. Ad evidenziarlo è il quotidiano progressista per eccellenza, il New York Times. Nell'ultimo sondaggio commissionato al Siena College, uno degli istituti a stelle e strisce più affidabili, è emerso come Donald Trump sia avanti di un punto a livello nazionale. Un dato che, di per sé, non significa nulla. Kamala Harris aumenta il suo vantaggio in alcuni stati decisivi come la Pennsylvania, il Michigan o il Wisconsin, che potrebbero regalarle la vittoria. Al contempo i sondaggi continuano ad essere fluttuanti, e l'affluenza gioca uno scherzo terribile a chiunque: il numero degli indecisi, maggior fattore di incertezza di questa tornata, non e mai stato così alto. Ma sono altri gli elementi del sondaggio del New York Times decisamente più interessanti, sintetizzati su più punti dal suo capo analista politico Nate Cohn in una singolare lettura a favore di Donald Trump. Prima di tutto, Trump è visto come il candidato del cambiamento in una nazione che chiede di cambiare.
La stragrande maggioranza degli americani boccia l'andamento economico del paese, sostenendo che l'inflazione continui a strozzarli. Le disuguaglianze, in effetti, non sono mai state così nette, il potere d'acquisto del salario medio è crollato e la pressione sugli stipendi della classe più povera è in aumento. E una netta maggioranza degli elettori - il 61% - chiede che il prossimo presidente garantisca un grande cambiamento rispetto a Biden, il cui giudizio complessivo resta negativo. Chi garantisce di più di cambiare rotta, tra Kamala Harris e Donald Trump? Nonostante Kamala si affanni a spiegare la sua distanza dal presidente di cui è sempre vice, gli intervistati del sondaggio rispondono che sia Donald. Poi, Trump è più popolare di prima. Complessivamente, il 46% dei probabili elettori dichiara di avere un'opinione favorevole, più di quanto lo fosse nel 2016 o nel 2020.
Infine, e soprattutto, Trump è in vantaggio su qualsiasi argomento interessi all'elettorato. Almeno cinque punti su qualsiasi tema: dall'immigrazione all'economia, fino alla politica estera. Meglio dargli del fascista e chiudere lì la discussione, pensano i democratici.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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