Dalle noccioline alla presidenza: la vita di Carter

Figlio di un contadino della Georgia, la sua presidenza degli Stati Uniti fu segnata da gravi crisi interne e internazionali

Dalle noccioline alla presidenza: la vita di Carter
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Si è spento a 100 anni l'ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter. Nacque il primo ottobre 1924 a Plains in Georgia e dopo aver frequentato l'accademia navale, servì nei sommergibili della Us Navy nell'immediato dopoguerra. Nel 1953, la morte prematura del padre lo costrinse a prendere le redini dell'azienda agricola di famiglia, una delle tante nella zona impegnata nella produzione di noccioline. È sempre stato animato da una profonda fede battista e si è distinto per l'impegnato contro la segregazione razziale. Carter si lanciò in politica, diventando prima senatore e poi governatore della Georgia: nel 1976 vinse a sorpresa le primarie democratiche, malgrado fosse inizialmente poco conosciuto fuori dal suo Stato. Considerato un outsider, nel mese di novembre di quello stesso anno sconfisse di misura Gerald Ford, colui che aveva assunto la presidenza dopo le dimissioni di Richard Nixon per lo scandalo Watergate.

Uno dei primi atti di Carter come presidente degli Stati Uniti fu un forte gesto politico, perché perdonò quanti che, per motivi di coscienza o opposizione politica al conflitto, si erano sottratti alla leva per andare a combattere in Vietnam. La sua presidenza fu caratterizzata da una politica nazionale per l'energia e, sul piano diplomatico perseguì una politica di pacificazione. Grazie agli impegni assunti a Camp David, fu il fautore della firma della pace fra Egitto e Israele nel 1979. Inoltre, con l'Unione Sovietica negoziò il secondo capitolo del trattato Salt sulla limitazione delle armi strategiche. Tuttavia, il suo mandato alla Casa Bianca viene ricordato anche e soprattutto perché, nel 1979, gli USA venero attraversati da una gravissima crisi energetica e, alla fine di quello stesso anno, ci fu l'invasione sovietica dell'Afghanistan, che fece ripiombare il mondo nel clima della guerra fredda.

Il 4 novembre 1979, un gruppo di studenti iraniani fece irruzione nell'ambasciata americana a Teheran e prese in ostaggio 52 diplomatici e cittadini americani. Fu l'inizio di una drammatica crisi, che gli americani vissero come un'umiliazione nazionale, che terminò solo 444 giorni dopo, il 20 gennaio 1981, quando Carter perse le elezioni in favore di Reagan.

La fine del suo mandato non segnò la fine fine dell'impegno diplomatico di Carter che, anzi, nei decenni successivi ha condotto negoziati di pace, monitorato elezioni, ottenuto la liberazione di prigionieri, appoggiato iniziative di cooperazione per eradicare povertà e malattie. Per questo suo impegno ha ottenuto il Nobel per la pace nel 2002.

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