Draghi e Milei, due scommesse una sola vincente

Quasi come una involontaria botta e risposta, la scorsa settimana Mario Draghi e il temerario Javier Milei hanno efficacemente rappresentato due visioni dello sviluppo economico piuttosto antitetiche

Draghi e Milei, due scommesse una sola vincente
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Quasi come una involontaria botta e risposta, la scorsa settimana Mario Draghi (foto) e il temerario Javier Milei hanno efficacemente rappresentato due visioni dello sviluppo economico piuttosto antitetiche. In estrema sintesi, l'ex presidente della Bce ha presentato al mondo Occidentale, con particolare riferimento all'Ue, la sua ricetta per rilanciare la crescita delle nostre stagnanti economie. Puntando il dito su alcuni, evidenti limiti della globalizzazione, Draghi, ha sostanzialmente ripresentato con una importante variante il dominante modello keynesiano, in cui la mano pubblica rappresenti il perno fondamentale del rilancio. Secondo la sua visione, sarebbe necessario aumentare ulteriormente i disavanzi pubblici, con la finalità di sostenere la ripresa dal lato dell'offerta, attraverso una decisa politica di investimenti, e non da quello della domanda, secondo il classico paradigma social-keynesiano. Ciò, migliorando il quadro infrastrutturale dei vari sistemi economici, agevolerebbe il coordinamento tra i decisori politici e le banche centrali, dando a queste ultime «maggiore fiducia nel fatto che la spesa pubblica oggi, aumentando la capacità di offerta, porterà ad una inflazione più bassa domani». Inoltre, secondo Draghi, l'Ue deve fare un ulteriore passo avanti con l'emissione di un debito comune. Questa svolta epocale, secondo Draghi, «amplierebbe lo spazio fiscale collettivo a disposizione, allentando così almeno in parte la pressione sui bilanci nazionali».

Ebbene, a questo interessante e molto ascoltato intervento della nostra più illustre riserva della Repubblica, ha fatto da contraltare l'irruzione del neoeletto presidente argentino, durante la lunga intervista tv di Nicola Porro pubblicata sul Giornale. Esprimendo a tinte forti la sua avversione per ogni forma di statalismo, Milei ha portato in auge il vessillo della scuola austriaca di economia, finalizzando la sua azione a una sostanziale riduzione dell'intervento statale in ogni ambito. Tant'è che, stabilito che l'eccessiva espansione del perimetro pubblico rappresenta un freno formidabile allo sviluppo, Milei ha puntato il dito proprio contro l'Europa, regno incontrastato di un welfare pervasivo e di una, a suo dire, vera e propria stagnazione. Ora, sebbene la ricetta ultra-liberista del leader argentino sia lungi dall'aver ottenuto i risultati che la sua coraggiosa politica si propone, tuttavia il suo paradigma antistatalista trova alcuni punti di forza anche in relazione alla difficile congiuntura che attraversa l'Europa. Per quanto la sua vagheggiata, drastica riduzione del perimetro pubblico sia improponibile tanto in Italia che in Europa, essa ci ricorda che il principale freno agli investimenti, pubblici o privati, è costituito dall'enorme quantità di risorse che i nostri sistemi impiegano per finanziare il grande capitolo della spesa corrente. Basti pensare che in Italia il citato welfare pensioni, sanità e sussidi dei generi più disparati assorbe quasi il 50% dell'intera, colossale spesa.

Tutto questo, ragionando in prospettiva, alle prese con l'invecchiamento della popolazione, dovrebbe farci comprendere che, in aggiunta alle illuminanti strategie esposte da Draghi, probabilmente occorrerebbe fare qualcosa anche sul piano del contenimento di una zavorra sociale, il welfare state, che insieme all'eccesso di burocrazia rischia di farci compiere pericolosi passi indietro. Cosa che l'attuale governo starebbe cercando di fare, dopo le ubriacature in stile deficit-spending del recente passato. L'auspicio è che non si fermi davanti alle prime strumentali contestazioni.

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