Fermare l'autolesionismo green deve essere una priorità europea

Mentre ci impoveriamo Cina e Arabia prosperano

Fermare l'autolesionismo green deve essere una priorità europea
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Beata Europa, o meglio ex beata, visto come si stanno mettendo le cose a livello geopolitico, ma anche socio-economico. Il capitolo politico è alle prese con forti complicazioni, con l'unica eccezione del nostro Paese che, in ragione del risultato delle elezioni europee che hanno confermato la leadership della compagine capitanata dal premier Meloni, mentre la Francia, soprattutto, ma anche Germania e Spagna, sono alla ricerca di una bussola che le guidi ad identificare compagini in grado di dare solidità ai governi, in modo da poter assumere decisioni, mai così importanti, dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi. Il contesto mondiale fa emergere sempre più, in ogni ambito, una contrapposizione tra l'Occidente, in particolare modo l'Europa, e il resto del globo.

A livello socio-economico la pressione dei Paesi Brics, acronimo dei cinque paesi fondatori, che esprimono il raggruppamento delle economie mondiali emergenti, sta insidiando soprattutto l'Europa, ma anche gli Usa per il tentativo di puntare a realizzare una moneta alternativa al dollaro e chiaramente, in seconda battuta, all'euro. La spinta autoimposta dai Paesi di Eurolandia, allargati all'Inghilterra, di puntare decisamente sulla trazione green, non trova alcun riscontro positivo nei Paesi Brics, che, anzi, vogliono spingere sull'acceleratore dei carburanti fossili.

Non a caso, tra gli ultimi ingressi del 2024 ci sono alcuni tra i maggiori produttori di petrolio e gas, Iran, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi, e sono ormai molte altre decine le nazioni, sempre emergenti e dotate di grandi potenzialità di sviluppo grazie al possesso delle materie prime naturali, che stanno dichiarando la loro disponibilità ad aderire al circuito. A suggellare questa volontà di non puntare sulle energie pulite, ma su una politica

pro petrolio, c'è l'acquisizione da parte della saudita Aramco, per una cifra vicina ai 750 milioni di dollari, di una partecipazione di minoranza, ma con impegno ad aumentarla, di Horse Powertrain, la joint venture Renault-Geely che produce motori termici.

C'è un rischio di accerchiamento sull'Europa, che viene lasciata da sola a sobbarcarsi gli enormi costi che impone ed imporrà la trasformazione green, la quale ha tra i suoi capisaldi l'eliminazione delle produzioni di auto a motore termico, sostituite dall'elettrico. Peccato che la Cina e altri Paesi asiatici sformino già oggi, e a prezzi ipercompetitivi, auto elettriche in percentuale tripla o quadrupla di quelle europee, condizione che danneggia le produzioni continentali, le quali vengono soppiantate da quelle cinesi e coreane oggi, un domani anche indiane e di altre nazioni Brics. In sintesi, cornuti e mazziati: il contenimento dell'inquinamento produce scarsi risultati se l'economia green è solo europea. A questo si associa la demolizione del circuito industriale europeo dell'auto termica. Si sta delineando uno scenario che isola il sistema europeo, pur essendo i suoi cittadini molto ambiti in quanto consumatori con una capacità di spesa seconda solo a quella statunitense. Un'economia costretta a importare senza che le esportazioni, limitate ai generi di lusso, all'agroalimentare e a molteplici nicchie di produzioni ad alto valore aggiunto, non ha un grande futuro dinanzi a sé. Urge un progetto europeo in cui a primeggiare siano gli investimenti in innovazione tecnologica e parimenti siano mirati a salvaguardare le molteplici nicchie di produzioni che, già oggi, solo i singoli Paesi di Eurolandia sanno realizzare.

Altrettanto fondamentale è

fare squadra tra nazioni di Eurolandia limitando la competitività infraeuropea. Infine, è prioritario limitare, da tutti punti di vista, il ricorso agli obblighi green, pur senza limitare l'utilizzo di queste tecnologie.

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