L'invenzione culturale della classe dirigente

Cultura e classe dirigente: servirebbe un Malraux per la destra al potere

L'invenzione culturale della classe dirigente
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Gaetano Mosca può considerarsi il primo scienziato della politica dell'Italia contemporanea. Utilizza il termine «classe politica» come equivalente di «classe dirigente». Ritiene, infatti, che nell'arena politica non contino soltanto deputati, senatori e ministri: quanti, per dirla con Max Weber, vivono la politica come professione. Contano anche e di più coloro i quali hanno un ruolo influente sulla direzione della società. La considerazione aiuta a comprendere, in tutta la sua profondità storica, l'analisi sull'assenza di una classe dirigente di destra, che ieri Ernesto Galli della Loggia ha proposto sulle colonne del Corriere della Sera. E fa capire anche come tale mancanza divenga addirittura un nero abisso se ci si riferisce alla cultura.

Il problema, come Galli della Loggia evidenzia, non concerne la qualità del personale politico. La destra, nel corso della Prima Repubblica, ha portato in Parlamento persone di cultura ottima, persino raffinata. Tanto meno può riguardare la qualità degli intellettuali. I «maggiori» del Novecento italiano sarebbe agevole dimostrarlo -, non militano a sinistra. Attiene, piuttosto, ai luoghi ufficiali della Repubblica. Parafrasando Lucio Battisti, si potrebbe affermare: non è «questione di cellule», bensì di ambienti. E il problema non investe esclusivamente «il Polo escluso» che, in quanto escluso, occupa fisiologicamente spazi separati. Fino al punto che, per difendersi, è stato costretto a farsene un vanto. Vale, in tal senso, la denominazione di un periodico d'area, orgogliosamente intitolato La voce della fogna.

Il problema riguarda anche quanti, in ambito culturale, hanno agito dalla parte del sistema. Perché nel dopoguerra, in particolare dal 1953, il Partito Comunista Italiano si è legittimato come «l'ambiente ufficiale» della Repubblica. E a partire dal 1970, quando la dinamica consociativa è divenuta linea politica egemone, ha anche occupato stabilmente spazi sistemici. C'è chi afferma che ciò sia frutto di uno scambio politico esplicito. A me sembra si sia trattato, piuttosto, di disattenzione e complesso d'inferiorità. Il fatto è che, in ogni caso, dal termine della prima legislatura repubblicana, quando De Gasperi esce di scena, un intellettuale di rango non comunista, può esistere ed essere considerato come individualità ma non appartenere al mainstream. Valga in tal senso, la consapevolezza insita nell'anatema togliattiano: «Vittorini se n'è ghiuto e soli ci ha lasciato!».

Per quel che poi riguarda la cultura politica, tale dinamica, oltre a costringere la destra in spazi residuali, ha anche gelato l'iniziativa sul versante liberale. Il liberalismo in Italia nei primi anni del dopoguerra aveva conquistato spazi tra i cattolici e creato collegamenti tra questi e i liberali «tradizionali». Si era avviato un percorso inedito, sulla scorta di motivi cari a quell'ordoliberalismo che poi avrebbe caratterizzato la rinascita tedesca. Questo fermento è rappresentato, ai massimi livelli, dal confronto tra De Gasperi ed Einaudi, del quale si è nutrita la rinascita italiana. Poi non è accaduto più niente. Al punto che il classico di Guido De Ruggiero che mostra il liberalismo italiano come il grande assente nel contesto europeo, potrebbe estendersi anche alla seconda metà del Novecento. E investire, persino, quella fase degli anni Novanta quando, al tramonto della Prima Repubblica, per una breve stagione tutti si dissero liberali. Fu più un recupero fuori tempo della stagione dei Reagan e delle Thatcher, che un'insorgenza originale.

Galli della Loggia, dunque, ha certamente ragione. Sulla destra - e persino sul centro-destra - pesa un passato che stenta a passare. Questa verità non deve trasformarsi in alibi. Altre forze sono giunte al potere senza radici e retroterra, ma hanno saputo riguadagnare il tempo perduto.

In Francia, ad esempio, De Gaulle volle suo ministro André Malraux e questo lo aiutò certamente a «cambiare il verso». Perché, la storia conta ma il cambiamento è possibile e, da sempre, cammina sulle gambe di donne e uomini.

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