L’intervista al celebre giornalista e scrittore di politica estera è stata realizzata da Federico Bini per il suo libro “Montanelli e il suo Giornale” (Albatros 2020). Il conte Alberto Pasolini Zanelli è morto in America giovedì 8 giugno all’età di 91 anni.
Emiliano?
“Romagnolo e toscano. Mio nonno fu un deputato, senatore con Giolitti. Un conservatore moderato”.
Un suo ricordo?
“Quando uccisero Umberto I vararono delle misure speciali in Italia, perché era un periodo di terrorismo, c’erano gli anarchici… votò contro e partecipò all’ostruzionismo contro queste leggi perché davano troppo potere alla polizia, all’esercito”.
Washington, Mosca, Riad, Pechino, San Francisco, Ankara, Berlino, Parigi, Santiago del Cile etc.
“Come corrispondente ho fatto trentasette anni a Washington e quattro in Germania. Gli altri ero inviato e stavo in albergo, non avevo sede, casa o ufficio”.
L’America è ancora la madre delle democrazie liberali?
“Quando sono arrivato nel giugno del ’71 era un paese più libero; adesso con gli eventi che ci sono stati la democrazia c’è, ma di libertà un po’ di meno”.
Giuseppe Prezzolini che ha abitato per molti anni a New York scrisse: “Se c’è un paese del mondo dove la democrazia funziona è l’America’’.
“Non è perfetto come sistema, però certamente le istituzioni sono molto precise, solide, anche troppo direi. Le questioni di sicurezza hanno soverchiato un po’ le libertà personali ma sono considerate necessarie. D’altra parte, succede così a tutti.: l’America ha questo problema!”.
L’elezione di Trump nel 2016?
“La dimostrazione che in America la democrazia funziona. Per prima cosa ha sconfitto i repubblicani. Lui non aveva neppure l’establishment repubblicano. Lo hanno votato persone che normalmente votavano per i democratici perché erano scontente. La globalizzazione, la robotizzazione, sono tutte cose distruttive per la struttura di una democrazia, indeboliscono e impoveriscono la classe media”.
Donald Trump avrà la forza (potere) di resistere nello scontro con l’establishment di Washington?
“Abbiamo il precedente di Nixon, vinse le elezioni due volte e alla fine fu costretto a dimettersi”.
Chi è stato il miglior presidente americano dal dopoguerra?
“Reagan. Kennedy, ad esempio, non ha fatto molto, non ne ha avuto tempo perché l’hanno ammazzato, però quello che ha realizzato è stato certamente popolare”.
Un ritratto di Reagan?
“Un conservatore che non faceva parte dell’establishment. Ha fatto il possibile per far saltare la concorrenza e lo fece con grande abilità e ingenuità anche perché non era un grande pensatore politico e stratega; era uno che aveva delle sue solide idee e naturalmente ha avuto la fortuna che è capitato il suo turno in un momento difficile per l’Unione Sovietica”.
Cosa l’ha colpita di lui? Lei è stato spesso invitato alla Casa Bianca.
“Aveva una straordinaria capacità di contatto umano”.
Il rapporto con Gorbaciov?
“Alla fine del suo funerale - secondo prassi per i presidenti americani c’è la cassa che viene chiusa e ci rimane vicina solo la moglie che appoggia i fiori - vicino alla bara erano rimasti la moglie e Gorbaciov. Ciascuno aveva un fiore, la mano sulla bara e gli occhi lucidi. Già quando Reagan era in pensione, era scaduto il suo mandato e c’era il Bush padre, quello intelligente, molto bravo, diventò più rigido, meno generoso nei rapporti con la Russia”.
Quali sono le cause alla base della caduta dell’Unione Sovietica?
“È nata dalla Russia la caduta del comunismo. Certo, un ruolo importantissimo lo ebbe Reagan che aveva annunciato l’antimissile, l’arma decisiva ma costosissima che i russi non avrebbero potuto permettersi”.
Da Mosca ad Ankara ha assistito ai grandi fatti internazionali.
“Io mi ricordo una volta, c’era una visita di Reagan e l’unica cosa che davano da mangiare a noi giornalisti in albergo erano cose carissime che facevano venire il mal di stomaco. Un’altra volta in uno dei due o tre migliori alberghi di Mosca, fra l’altro gestito da inglesi, a mezzogiorno finì il pane. Era tutto molto precario”.
Nel 1980 il golpe in Turchia diretto dall’esercito.
“Ero presente. Ad Ankara c’era il caos, non funzionava niente, c’erano tutti gli alberghi in sciopero, noi eravamo in un “alberguccio”. Da mangiare ci davano solo delle uova in padella. Ad un certo punto il collega del “Corriere” si convinse che non sarebbe successo niente. Io che sono un dormiglione di mattina perché non dormo la notte mi sentii bussare intorno alle otto e dissi: “Come mai così presto?’’. Il collega mi invitò a guardare fuori dalla finestra e vidi i carri armati”.
La Turchia riformista e laica di Ataturk è stata superata da Erdogan?
“Era l’unico Stato musulmano non islamico, moderno, adesso invece anche lui si veste da prete. Ataturk aveva fatto un buon lavoro, aveva lasciato una struttura decisiva che era l’esercito, invece Erdogan l’ha indebolito. Se i paesi arabi avessero seguito il suo esempio staremmo tutti meglio, soprattutto loro”.
Cuba rappresenta ancora oggi una minaccia per l’America?
“Lo era tanto tempo fa, quando tutta l’America del Sud stava andando a sinistra e Castro dava il modello rivoluzionario, quindi si espandeva, aveva l’appoggio e le basi sovietiche. Adesso non c’è più niente di tutto questo”.
Willy Brandt?
“Brandt offriva la distensione con l’Unione Sovietica, la fine del muro etc. Era un uomo del passato, con un passato personale di grande resistenza”.
Mitterrand è stato l’ultimo presidente di Francia che potremmo “avvicinare” a De Gaulle?
“Sì, era di sinistra ma essere più a sinistra di De Gaulle ci vuole poco. Era un uomo di valore, colto, di fantasia, oratore”.
Cos’è rimasto del gollismo nella destra francese?
“Il gollismo si era già molto annacquato dopo la morte di De Gaulle. Il tentativo di rifare il gollismo con Sarkozy è stato un fallimento totale ben meritato”.
Qual è il suo giudizio storico sugli anni di Downing Street della Thatcher?
“Ha fatto riprendere l’Inghilterra non alla Reagan, ossia in modo bonario, bensì con durezza. D’altra parte, gli inglesi sono diversi dagli americani. Se agli americani lei avesse fatto il trattamento thatcheriano sarebbe finita subito. Gli americani vogliono ottimismo, vogliono vedere il mondo rosa”.
L’hanno sempre dipinta come una donna esclusivamente di ferro.
“Era anche molto femminile nel modo di comportarsi. Io me la ricordo una sera nella sede del Partito conservatore, a festeggiare una delle tante vittorie, con il bicchiere in mano; a un certo punto si stancò e si sedette in maniera molto femminile, tirando le gambe sotto, e fra l’altro aveva le giarrettiere che non portava più nessuno, ma lei le aveva!”.
Quando ha iniziato a collaborare con “il Giornale” di Montanelli?
“Il 1°giugno del 1977. Ero a Washington come corrispondente della “Nazione-Resto del Carlino”. Non conoscevo nessuno del “Giornale” e con Montanelli non ci eravamo mai visti né parlati, conoscevo Bettiza che era condirettore”.
Dove apprese la notizia della caduta della caduta del muro di Berlino?
“A Milano nell’ufficio di Montanelli, stavamo chiacchierando, quando è arrivata la notizia verso le sette e mezza di sera. Allora dissi subito: “Faccio il fondo’’; ma Indro: “No, è uscito un tuo fondo oggi e non è elegante che esca con la stessa firma due giorni di fila’’. “Allora fallo tu’’. “No, alle otto abbiamo un appuntamento a cena da Marisa’’. Sua compagna e donna bellissima. Montanelli era un uomo molto puntuale”.
Che tipo di legame aveva costruito?
“Era il mio migliore amico. Mi propose anche la direzione ma rifiutai”.
La direzione?
“Era il 14 luglio del 1989, lo ricordo bene perché ero a Parigi e c’era il vertice europeo. Mi telefonò, già cominciavano le sue schermaglie con Berlusconi e mi disse: “Ti faccio condirettore con la promessa di successione’’.
Si offese al suo rifiuto?
“Fece il broncetto”.
Lei adora particolarmente Parigi.
“Non sono molto originale in questo, ci vado tutte le volte che posso. Ma ormai non sono più tanto giovane”.
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