
Eccoli, i palestinesi anti-Hamas. Attesi, a lungo invocati, mai visti a Gaza, perseguitati e terrorizzati, ora scendono in strada e levano la loro voce anche verso l’Occidente. Si è fatta sentire forte e chiara quella di Hamza Howidy, 28 anni, attivista per i diritti umani ed esponente di «Bidna Naish» («Vogliamo vivere») movimento nato nel 2019 e motore delle proteste in corso nella Striscia. «È importante non identificare tutti i palestinesi con Hamas - il suo messaggio - Ai pro-israeliani, chiedo di non identificare tutti i palestinesi come due milioni di terroristi. È importante dare modo alle voci moderate di esprimersi».
Dissidente in esilio, Howidy è stato protagonista di una tappa italiana, prima alla Sapienza e poi al Senato, dove nel corso di un incontro moderato da Sharon Nizza («Voci da Gaza, La fine del regime di Hamas è la premessa per il cessate il fuoco») ha raccontato il suo impegno civile contro i terroristi insieme a Muhammad, collegato da Gaza sotto identità coperta.
Entrambi sono stati incarcerati e torturati dall’organizzazione islamista. Oggi però Hamas è piegata dalla durissima guerra scatenata da Israele, e ha meno presa sulla popolazione della Striscia che, stremata, va in strada e protesta. Una situazione che apre una finestra di «opportunità» per liberare i gazawi. Questa la speranza dei dissidenti, che potrà concretizzarsi a una condizione: che l’Autorità nazionale palestinese decida di affrontare i rivali islamisti, che i Paesi arabi vogliano giocare un ruolo, e che l’Europa non si volti dall’altra parte.
Secondo Muhammad, i palestinesi «non ne possono più di Hamas», «vogliono che esca dalla scena politica». Non sarà semplice - ha ammesso, ma - a suo avviso - ora si deve «disarmare Hamas» e al tempo stesso «liberare gli ostaggi». Solo così potrà aprirsi un nuovo capitolo per i palestinesi. E per Muhammad «non è vero che i gazawi hanno gioito per il 7 ottobre: «Il popolo ha “assaggiato” Hamas per 18 anni, ben prima di quell’azione contraria all’etica e all’umanità: Hamas, agendo in quel modo, ha perso ogni legittimità» secondo lui.
Simile l’analisi di Howidy. Nato Gaza City nel 1997, in esilio in Germania dal 2023, ha raccontato di aver assistito alla guerra civile fra Fatah e Hamas. Era giovanissimo: «Un ragazzo che si è ritrovato in questo conflitto interno fatto anche di persone gettate dai tetti, trascinati per le strade con le moto. Non capivo questa situazione: normalmente il conflitto era con gli israeliani e non fra noi palestinesi».
«Da quando Hamas è salita al potere - ha detto alla Sapienza - la società palestinese è diventata autocratica, ricca di estremismi e propaganda. Io stesso ero incentivato in questa direzione. Poi ho cominciato a parlare, ho iniziato il mio attivismo. Ad aiutarmi nel mio percorso di de-radicalizzazione, perché sono nato come uno che odia Israele, è stato guardare l’altro come persona e non come ideologia». «Ho condannato l’attacco di Hamas - ha raccontato - mai c’era stata una simile escalation, non credevo potessero fare atti del genere, di questa crudezza. E quando 2 milioni di palestinesi venivano descritti come terroristi, ho capito che le cose si sarebbero messe male».
Il suo dissenso lo ha pagato con l’arresto e le torture, nel 2019 e nel 2023 è stato costretto a trasferirsi in Germania, mentre parte della sua famiglia vive in Egitto. «Ma il mio sogno è quello di tornare a Gaza». Il futuro è pieno di incognite. «Di certo - spiega - non possiamo accettare la proposta del Presidente americano Trump di pulizia etnica e ricollocamento, né la rioccupazione israeliana della striscia. Anzi, devono essere i palestinesi a dover ricostruire, investendo su coloro che non useranno i soldi per i tunnel e per punire il dissenso».
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