Il timore per l'escalation in corso in Medio Oriente è ormai una delle principali preoccupazioni di Giorgia Meloni. Non solo per i circa 1.200 soldati italiani impegnati nella missione Unifil che in Libano è stata vittima degli attacchi dell'esercito israeliano, ma anche per come Benjamin Netanyahu sta gestendo la crisi e la reazione di Tel Aviv all'attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023. Una risposta su cui a Palazzo Chigi hanno perplessità da qualche tempo, convinti che un inasprimento del conflitto non possa che allontanare una soluzione diplomatica di quella che è ormai una vera e propria guerra che sta coinvolgendo tutta la regione. E che rischia, al minimo imprevisto, di allargarsi a macchia d'olio e diventare in un attimo extra-regionale. Un allarme sul quale - durante il vertice Med9 di venerdì scorso a Cipro - hanno concordato Meloni, il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez, tanto da sottoscrivere una dichiarazione congiunta di condanna per l'attacco dell'Idf contro la base Unifil.
È con questo approccio che oggi la premier riferirà in Parlamento (la mattina al Senato e il pomeriggio alla Camera) in vista del Consiglio europeo di giovedì, ribadendo che l'attacco subìto dal contingente Onu da parte delle forze armate israeliane è «inaccettabile» e che va garantita la sicurezza dei soldati in missione in Libano. Concetti che sono stati al centro della telefonata di domenica scorsa tra Meloni e il premier israeliano Netanyahu, una conversazione non priva di tensioni. La scelta di Tel Aviv di aggredire Unifil, infatti, secondo la presidente del Consiglio non ha alcuna giustificazione, al netto del fatto che le forze Onu siano vincolate a operazioni di peacekeeping (quindi non offensive) e che questo negli anni abbia portato Unifil ad avere rapporti d'interdizione anche con Hezbollah (inevitabili per pattugliare e gestire il confine meridionale del Libano ormai dal lontano 1978).
Non è un caso che per i giorni successivi al Consiglio europeo Meloni stia lavorando a una missione in due tappe in Medio Oriente. La prima è ad Amman, dove la premier incontrerà il re di Giordania Abd Allah II (una visita che era schedula per la scorsa settimana, ma che è poi stata rinviata per il vertice sull'Ucraina che si sarebbe dovuto tenere in Germania alla base militare statunitense di Ramstein). La seconda dovrebbe invece essere proprio in Libano, in una base Unifil (lo scorso 28 marzo la premier incontrò i militari italiani alla «Millevoi» di Shama).
Una visita che ha però complessità logistiche e di sicurezza, probabilmente affrontate anche nell'incontro di ieri a Palazzo Chigi tra il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e il direttore della Cia Williams Joseph Burns. Arrivare sul campo, infatti, comporta per la premier uno spostamento in elicottero di oltre un'ora in cieli che non sono affatto sicuri. Ed è per queste ragioni che la missione in Libano è al momento molto probabile ma non ancora certa. Come pure non è chiaro quando sarà, visto che da sabato ogni data potrebbe essere utile (ma sembra più probabile l'inizio della prossima settimana).
Al netto del fatto che le ragioni di sicurezza consentano o no a Meloni di andare in Libano, il dato politico è la volontà della premier di lanciare un messaggio forte di solidarietà al contingente delle Nazioni Unite. E, ovviamente, ai circa 1.200 militari italiani impegnati sul campo.
Un approccio che, inevitabilmente, conferma e ribadisce le dure critiche di questi giorni del governo italiano nei confronti di Israele. Non a caso, nel possibile programma della missione in Medio Oriente non è stata contemplata l'ipotesi di una visita a Tel Aviv.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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