Il silenzio di Zuckerberg, grande assente nella corsa alla Casa Bianca

Il fondatore di Facebook ha silenziato gli annunci politici sul socilanetwork l’ultima settimana di questa campagna elettorale, ma ciò non lo ha salvato dalla domanda che si fanno tutti su dove sia finito

Il silenzio di Zuckerberg, grande assente nella corsa alla Casa Bianca
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Il silenzio a volte dice più di tante parole. Oppure non dice proprio nulla, smascherando l’incertezza davanti ai momenti in cui bisognerebbe decidere cosa fare. O da che parte stare. Per un Elon Musk che parla e twitta (si può ancora dire?) da quando Donald Trump è stato rieletto presidente degli Stati Uniti, c’è invece un grande assente che non ha avuto fin qui la forza di esporsi. Mark Zuckerberg in questa vicenda è rimasto quello che era una ventina di anni fa, quando creò un social network per dare voce a tutti. Un ragazzo che ha pensato di creare un luna park virtuale per cambiare il mondo, ma quando ci è riuscito – facendo nel contempo una montagna di soldi – ha scoperto che fuori di lì la realtà è molto più dura di quanto l’avesse immaginata. E a volte si resta senza parole.

Da Trump a Trump i guai di Mark non sono cambiati. Nel 2016 Facebook fu accusata, con prove, di aver condizionato la campagna elettorale, con messaggi fuorvianti arrivati anche dalla Russia che rimasero senza controllo. Quello di Cambridge Analytica è poi diventato un caso da manuale (ovvero l’uso dei dati degli utenti per veicolare informazioni ad hoc), e l’audizione al Senato americano due anni più tardi mostrò un adulto-bambino preso con le mani nella marmellata che imbarazzato chiedeva scusa per la sua leggerezza. “Scusa”, una parola che Mark ha poi utilizzato spesso quando, in questi anni, i suoi social gli sono sfuggiti di mano finendo per condizionare anche la testa di alcuni giovani fino alla tragedia.

Zuckerberg, insomma, con il silenzio ha un rapporto difficile. E proprio recentemente, per dire, ha inviato una lettera alla commissione Giustizia della Camera dei rappresentanti Usa affermando di rimpiangere “il silenzio in merito alle pressioni del governo per silenziare le opinioni dissenzienti durante la pandemia di Covid-19”. Un accusa tardiva al presidente Biden (“rimpiango di non aver denunciato apertamente”), quando ormai sarebbe stato meglio soprassedere. E non certo però un endorsment per il candidato Trump, sul quale puoi è calato il buio comunicativo, prima e dopo il voto, cosa che ha causato una rivolta pubblica dei suoi dipendenti che lo hanno accusato di non aver preso posizione contro le posizioni giudicate razziste del futuro padrone della Casa Bianca. L’unica risposta di Mark, invece, è stata quella di silenziare anche gli annunci politici su Facebook l’ultima settimana di questa campagna elettorale, ma ciò non lo ha salvato dalla domanda che si fanno tutti su dove sia finito.

In fondo però non c’è nulla di strano: quando, quattro anni fa, il giornalista Marc Allen gli chiese se Facebook potesse essere considerato un acceleratore della distruzione della società, Zuckerberg replicò con 5 secondi di silenzio. Forse ci sta ancora pensando.

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