LA POLITICA DEL SOSPETTO

La Bindi tracciò il solco e la Turco lo difende. Il ministro della Salute ha detto che in autunno presenterà un disegno di legge: con le foglie cadranno anche i primari e i direttori di dipartimento che esercitano anche la libera professione. O dentro o fuori. Esattamente la linea del ministro Rosy Bindi quando si occupava di ciò di cui si occupa ora la sua collega Livia Turco. La coerenza c'è, per carità, peccato che sia sbagliato il contenuto.
Era il 3 ottobre del 2001 e Girolamo Sirchia annunciò l'idea di dare la possibilità di diventare primario anche per chi non aveva un rapporto esclusivo con l'Ssn, il sistema sanitario nazionale. Perché? Per questioni di ragionevolezza, ancor prima che ideologiche: significava aprire la strada a chi sapeva fare bene il suo mestiere ed operava (peccato grave per la Bindi e per la Turco) anche fuori dal sistema pubblico nazionale. Significava volere portare dentro al sistema energie positive, uomini e donne competenti delle quali la sanità italiana ha un bisogno estremo e la salute dei cittadini ancora di più. Non significava, come fu detto e viene detto, voler svilire il sistema pubblico, voleva dire il contrario, volerlo irrobustire nella consapevolezza che dentro ci sono già, ed anche in esclusiva, medici di altissimo livello, ma che non si vedeva perché escludere chi voleva fare anche altro.
Visco regnante, naturalmente il retropensiero è chiaro: questi primari e direttori sono degli evasori. Quindi, un solo stipendio, altrimenti diventano ricchi e, di conseguenza, evasori.
Ma anche senza retropensieri, e limitandoci - quindi - solo a quelli davanti, la cosa non sta in piedi lo stesso. Non serve alla funzionalità del sistema, alla sua efficienza.
Lo abbiamo già detto: di bravi ce ne sono anche dentro ma - lo sanno anche le pietre - molti di questi sono quelli che lavorano anche fuori. E, facendo così, saranno invogliati ad andarsene. Mentre ora molti pazienti, anche indigenti, possono andare a farsi curare da questi medici dopo, non potranno più semplicemente perché non potranno permettersi di pagare quello che sarà loro richiesto negli ambulatori di quegli stessi medici. Doppio risultato: fuga di cervelli dagli ospedali (e non solo dall'Italia) e ulteriore declassamento della qualità delle strutture pubbliche a discapito dei più svantaggiati. Quelli ricchi continueranno a scegliere da chi farsi curare, indipendentemente dalla struttura pubblica o privata nella quale operano: scelgono i migliori oggi, sceglieranno i migliori domani.
Quando il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, introdusse la possibilità di scegliere per i cittadini lombardi (poveri e ricchi) tra strutture pubbliche e private per la diagnostica, ma anche per la cura, fu ancora il ministro Bindi a scagliarsi contro il provvedimento per la difesa del sistema nazionale. Non importano i risultati ottenuti, non importano le esperienze estere che spingono nel senso percorso dalla Lombardia, non importano considerazioni di buon senso. Il Sistema sanitario nazionale prima di tutto: è meglio punto e basta. E avanti così.
Che ci siano degli autentici delinquenti anche dentro la sanità lo sanno tutti. Ma fino a prova del contrario ci sono stati anche durante i lunghi anni nei quali la sanità è stata tutta pubblica.

E, purtroppo, ci saranno sempre. Ma si può disegnare un sistema sui sospetti, a partire solo dalla parte malata. Non conviene rischiare di aprirlo per portare dentro un po' di aria nuova? Non farebbe bene a tutti, malati per primi?

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