La vera sfida - se, come vuole Mario Draghi, il «pacchetto giustizia» verrà approvato senza modifiche del Parlamento - si sposta ora nei tribunali e ancor più nelle Procure della Repubblica. Perché tra le condizioni indispensabili per raggiungere l'obiettivo della riforma Cartabia ce n'è soprattutto uno: la riduzione del numero dei processi, la cancellazione dai ruoli d'udienza delle decine di migliaia di fascicoli portati avanti per ostinazione e inerzia anche quando è evidente che le prove non ci sono o che si tratta di vicende insignificanti.
Solo se si riduce il numero dei processi, ritiene la ministra, diventano realistici i tempi stretti che la riforma prevede per la celebrazione dei giudizi d'appello e di Cassazione, pena l'improcedibilità del reato. E la strada più ovvia per ridurre il numero dei processi passa per l'intervento sull'enorme percentuale di processi che in primo grado terminano con l'assoluzione dell'imputato: le statistiche ufficiali parlano del 40 per cento di assoluzioni. Sugli oltre 1,6 milioni di processi penali pendenti oggi in Italia, 600mila sono destinati a finire in nulla.
Il rimedio proposto dal governo sta tutto in una frase: gli imputati potranno essere rinviati a giudizio solo se il giudice riterrà che gli elementi raccolti giustificano una «ragionevole previsione di condanna». Sarebbe una rivoluzione copernicana rispetto alla situazione attuale, dove il criterio per mandare a processo è quello assai più blando della «sostenibilità della accusa in giudizio», e in pratica solo l'evidente innocenza dell'imputato (a volte nemmeno quella) dissuade il giudice preliminare dall'accogliere la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura. La stessa bozza della Cartabia riconosce che oggi come oggi l'udienza preliminare è ridotta quasi a una formalità: il filtro non funziona, e le aule si intasano. E qui è complice la Cassazione, che spesso e volentieri accoglie i ricorsi delle Procure.
Il problema è dunque: come interpreteranno i giudici la espressione «ragionevole previsione di condanna» contenuta nella nuova norma? Se i giudici dovessero adeguarsi davvero allo spirito della riforma, dovrebbero sommergere con decine di migliaia di rifiuti le richieste dei pubblici ministeri, risparmiando oltre tutto ad imputati innocenti anni di sofferenze inutili. Ma dovrebbero in teoria le stesse Procure fare propria la linea Cartabia, rinunciando ad accanirsi. In concreto il rischio è che non accada niente, visto che l'espressione proposta dal ministro, la «ragionevole previsione» appare quanto mai elastica.
Oltretutto la bozza Cartabia se con una mano sembra togliere potere alle Procure dall'altra parte allarga la loro libertà di movimento, perché propugna l'allargamento dei casi in cui il pm può mandare l'imputato a processo senza neanche passare per il vaglio di un giudice preliminare, la cosiddetta «citazione diretta»: uno strumento finora riservato a reati di poco conto. È vero che anche i pm dovrebbero adeguarsi al nuovo criterio della «ragionevole previsione di condanna». Pia illusione.
Insomma, anche ora che se ne conoscono meglio i dettagli la riforma del ministro conferma di portare con sé molti buoni principi basati su formule indebolite dalla mediazione. Come conferma anche l'analisi del testo sul punto criticato più apertamente dal professor Franco Coppi nell'intervista di ieri al Giornale: nel caso che un processo superi i due anni di durata in appello e quindi venga dichiarato improcedibile, che fine fanno i risarcimenti alle parti civili concessi con la sentenza di primo grado? Il testo Cartabia dice che «l'improcedibilità non pregiudica gli interessi delle parti civili, che potranno avere un risarcimento del danno davanti al giudice civile».
Ma è ovvio che non sarà mai un giudice civile a poter valutare la innocenza o la colpevolezza di un imputato, e nessun risarcimento potrà essere concesso in mancanza di una condanna penale definitiva: a meno che non si voglia sostenere che basta quella di primo grado. Difficile che la Corte Costituzionale sia d'accordo.
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