Piu che un'inchiesta fu una saga. E il format di una nuova Mani pulite, post Di Pietro, che prometteva addirittura fuoco e fiamme contro le Toghe corrotte. Anzi, le Toghe Sporche, come fu prontamente ribattezzato l'adrenalinico filone. Personaggi e luoghi traboccavano dai giornali e dalle tv: il bar Mandara, il bar Tombini, dove incredibilmente un cameriere scoprì una cimice piazzata dagli investigatori, e poi quella galleria di facce e di sketch da commedia all'italiana sulle prime pagine per anni, fra intercettazioni, pedinamenti e tutte le altre tecniche innovative portate alla Procura di Milano da Ilda Boccassini. In testa a questa presunta Cupola del malaffare c'era, per gli inquirenti, lui: Renato Squillante, l'ex capo dei gip di Roma, morto nei giorni scorsi all'età di 92 anni. Lo arrestarono fra squilli di tromba l'11 marzo 1996, a pochi giorni dalle elezioni poi vinte dall'Ulivo di Romano Prodi. E anche la tempistica diventò materia del contendere. Secondo l'accusa, Squillante si era fatto corrompere dai Rovelli e, fra l'86 e l'89, era stato sul libro paga del Cavaliere per il tramite di Cesare Previti.
Fu un terremoto giudiziario e una tempesta politica. Con un grappolo di vecchie sentenze nel mirino dei pm: dal lodo Mondadori, in cui rimase inizialmente invischiato anche Silvio Berlusconi, al caso Sme, con un processo a Squillante e un processo stralcio al Cavaliere. Qualcuno pensò che l'ora del leader del centrodestra, miracolosamente risorto dall'avviso di garanzia scoccato due anni prima dal pool di Borrelli, fosse finalmente arrivata. Errore. Berlusconi uscì indenne da questi attacchi, ma le partite furono lunghe e sanguinose: Stefania Ariosto, la contessa, il mitico teste Omega, l'antiquaria dalle mille vite, aveva raccontato ai magistrati milanesi quel che aveva visto frequentando il ruggente mondo romano al seguito dell'avvocato Vittorio Dotti, suo compagno e colonnello di Forza Italia nella prima stagione del partito.
Buste di denaro, giri vorticosi di soldi, verdetti pilotati. E poi, sul piano politico, accuse e controaccuse. Complotti, macchinazioni, golpe, pentiti a pagamento e a orologeria.
Per l'Imi-Sir alla fine il giudice fu condannato a 8 anni, scesi a 7 in appello: i Rovelli avrebbero comprato un verdetto favorevole attraverso la mediazione degli avvocati Cesare Previti, Attilio Pacifico e Giovanni Acampora. Ma nel 2006, dieci anni dopo, la Cassazione assolse Squillante, pur bacchettandolo «perché il suo intervento non è stato in linea con i doveri deontologici di un magistrato». Il giudice se la cavò, ammaccato ma assolto, anche nella vicenda Sme.
Sospetti e fotogrammi che si sono fissati nell'immaginario collettivo.
Come quello raccontato dall'Ariosto e smentito infinite volte dai protagonisti. Un giorno Previti avrebbe detto al magistrato: «A Rena' te stai a scorda' li sordi». Una frase che ha fatto il giro del mondo. Ieri, a Roma, i funerali.
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