L'ombra di Regeni sulla testa di Conte è l'ultimo tassello per far traballare il premier o addirittura cadere come vorrebbe una bella fetta del Pd senza mai ammetterlo. E non è un caso che il presidente del Consiglio abbia deciso di presentarsi alla commissione d'inchiesta sulla tragica fine dello studente in Egitto, ieri in seconda serata, per cercare di evitare i riflettori mediatici. Proprio nelle ultime ore sarebbe stato firmato oppure è imminente la chiusura del contratto in Egitto per le due fregate multi missione (Fremm) della Fincantieri alla marina militare egiziana per 1,2 miliardi di euro. Si tratta solo di un antipasto di armamenti al Cairo, che potrebbe arrivare a commesse per un totale di 15 miliardi di euro. In tempo di crisi nera post covid è impossibile dire di no. Oltre al fatto che l'Egitto è cruciale per non abbandonare la Libia nelle mani dei turchi.
I genitori di Regeni hanno protestato contro il «fuoco amico», che ha dato il via libera alla vendita delle due fregate nonostante la collaborazione egiziana sul terribile omicidio sia quasi nulla.
Il tragico caso dello studente massacrato al Cairo è entrato a far parte della faida politica dentro il governo. Conte il 7 giugno ha avuto un lungo colloquio telefonico con il presidente egiziano, Abdel Fattah al Sisi, soprattutto sul disastro libico, ma avrà parlato anche del caso Regeni e del blocco delle Fremm. Pochi giorni dopo il Consiglio dei ministri ha autorizzato il via libera al contratto.
Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, con una lettera a Repubblica ha resuscitato il fantasma di Regeni come spada di Damocle sulla testa di Conte. Il leader del partito democratico prova a scindere la vicenda delle fregate dal caso giudiziario, ma intima al governo di darsi una mossa con l'Egitto per fare processare in Italia i cinque indagati dei servizi di sicurezza accusati dalla procura di Roma del sequestro, tortura e omicidio di Regeni. Il Pd, anche con altri suoi componenti di spicco, utilizza un classico cavallo di battaglia dei grillini. Non a caso ieri, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha reso noto su Facebook una lettera al suo omologo egiziano dove scrive che «bisogna far luce definitivamente sulla morte di Giulio perché il tempo dell'attesa è finito». L'obiettivo è il riavvio concreto della collaborazione fra la procura di Roma e quella del Cairo nella video conferenza prevista il primo luglio. La richiesta minima è di rendere noto il domicilio legale dei cinque ufficiali egiziani indagati per iniziare la lunga strada verso il processo. Le speranze che Al Sisi consegni i suoi uomini sono quasi inesistenti, ma l'affondo del Pd su Regeni punta a mirare l'autorità e credibilità di Conte. Un ufficio apposito della Farnesina di Di Maio deve ancora concedere l'autorizzazione all'esportazione delle fregate, ma lo ha già fatto lo scorso anno, in silenzio, per la vendita di 32 elicotteri di Leonardo all'Egitto. La vera posta in gioco è alta. Non solo la partita geopolitica in Libia, ma la vendita di altre 4 fregate Fremm, 20 pattugliatori d'altura di Fincantieri in parte costruiti ad Alessandria, 28 caccia Eurofighter Typhoon, 20 velivoli da addestramento M-346 di Leonardo ed un satellite da osservazione. «In tutto un pacchetto di 15 miliardi di euro, se andrà a buon fine - spiega Gianandrea Gaiani direttore di Analisi Difesa - Solo con l'Egitto potremmo portare a casa il triplo dell'export della Difesa nazionale». L'ala dura dei grillini vede l'ipotesi come fumo negli occhi. Anche le Sardine hanno bacchettato Di Maio dichiarando che «oltre alle lettere servono i fatti». Il pentastellato Angelo Tofalo, come «rappresaglia» nei confronti del Pd, ha auspicato la convocazione davanti alla commissione d'inchiesta di Marco Minniti, sottosegretario con la delega per i servizi nel 2016 quando venne ucciso Regeni.
Nessuno, però, ricorda un altro filone dell'inchiesta. La pista inglese sul ruolo di Cambridge che mandò allo sbaraglio Regeni come ricercatore al Cairo e di alcune docenti dell'università legate ai Fratelli musulmani.
Il 6 febbraio gli stessi magistrati della procura di Roma hanno ammesso davanti la Commissione Regeni: «Rimane per noi un mistero l'atteggiamento della tutor di Giulio a Cambridge, la professoressa Maha Abdel Rahman che non ha mai collaborato con le indagini e non ha più risposto dopo il primo contatto formale».
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