Afghanistan a rischio collasso. I miliardi di Mosca e Pechino per aggirare il blocco degli Usa

Afghanistan a rischio collasso. I miliardi di Mosca e Pechino per aggirare il blocco degli Usa

L'ultimo aereo militare con a bordo le rimanenti truppe americane e l'ambasciatore di Washington ha lasciato Kabul la notte scorsa accompagnato da razzi sparati nel buio e qualche fuoco d'artificio. I talebani festeggiano quella che chiamano «la riconquistata libertà che appartiene a tutti gli afghani» e che invece per la gran parte del loro stesso popolo è soltanto un altro incubo. Il resto del mondo si affanna a gestire il nuovo Afghanistan: l'Occidente scosso dalle ricadute della fallimentare ritirata americana si sforza di trovare unità d'intenti e di azione, magari coinvolgendo nelle trattative con il potere islamico che si insedia a Kabul quella Cina e quella Russia che si sono affrettate a ritagliarsi verso quel potere un ruolo privilegiato e pragmatico fino al cinismo. Pechino e Mosca, invece, cominciano appunto a giocare nell'Afghanistan sgomberato dagli occidentali la loro nuova partita geopolitica: la Cina non ha perso tempo nel denunciare «la sconfitta della pretesa americana di imporre con la forza nel mondo i propri valori» e annuncia «una nuova pagina per l'Afghanistan» in cui si vede in prima fila ma senza truppe sul terreno.

Dopo il sostanziale insuccesso della mossa francese all'Onu (Macron puntava a far istituire a Kabul una zona di sicurezza per operazioni umanitarie sotto l'egida delle Nazioni Unite, ma il fronte talebani-Cina-Russia ha costretto a far mettere al voto solo una risoluzione che preme sui talebani perché tengano aperto un corridoio di libero espatrio) Stati Uniti e Paesi europei sono concentrati sulla continuazione delle evacuazioni: almeno 40mila persone che godono di protezione occidentale da far uscire dal Paese.

Resta molto forte la pressione sui talebani affinché impediscano che l'Afghanistan torni a essere un santuario per il terrorismo islamico, e sono in corso contatti tra i principali Paesi dell'Ue più la Gran Bretagna per costruire «una presenza europea» in Afghanistan che non implichi di per se stessa il riconoscimento dei talebani. Domani il premier Mario Draghi, sempre impegnato a preparare un prossimo G20 a guida italiana con la questione afghana al centro, incontrerà a Parigi Emmanuel Macron. Sia Macron che la cancelliera tedesca Angela Merkel ritengono i colloqui con il nuovo regime di Kabul necessari, se non addirittura inevitabili. Merkel insiste sugli aspetti umanitari e mette le mani avanti: troppo presto per parlare di collocamento nei vari Paesi europei di «contingenti» di profughi afghani.

Ma c'è un altro aspetto da non dimenticare. L'economia dell'Afghanistan, già poverissima di suo, è ora prossima al collasso: le riserve monetarie nazionali (poco meno di 10 miliardi di dollari) sono congelate negli Stati Uniti che si rifiutano di metterle a disposizione dei talebani, gli aiuti dall'estero (circa 450 milioni di dollari di prestito del Fmi attesi in queste settimane, ad esempio) sono bloccati, i capitali sono in fuga, le banche chiuse per esaurimento della liquidità, il che implica una mezza rivolta sociale a Kabul e il vano assalto ai bancomat. I miliardi dello Stato afghano sono investiti in titoli di Stato e oro in America, e la segretaria al Tesoro Janet Yellen ha disposto il loro blocco, sicché i talebani hanno accesso alla miseria dello 0,2 per cento dei fondi nazionali.

Si teme un ritorno alla vendita di droga in grande stile e il mercato nero delle armi americane in mano talebana. La Russia ha chiesto a Biden di sbloccare i fondi «per sostenere il corso della moneta afghana al collasso», ma potrebbe essere la più ricca Cina a venire in interessato soccorso dei suoi nuovi amici di Kabul.

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