Che la breve campagna elettorale verso le elezioni del 25 settembre sarebbe stata attraversata da veleni, scoop, inchieste e cecchinaggi vari era purtroppo prevedibile. Ieri puntualmente arriva la «bomba»: la Stampa rivela in prima pagina l'esistenza di un documento dei servizi segreti («documenti di intelligence che la Stampa ha potuto visionare») sui contatti tra emissari russi e esponenti della Lega, in cui gli uomini di Mosca si mostrano assai interessati alle cose italiane e alle possibili difficoltà del governo Draghi. Al punto di informarsi se Matteo Salvini si stesse già accingendo a ritirare i ministri del Carroccio dal governo di unità nazionale. L'interlocutore dei russi sarebbe stato Antonio Capuano, consigliere per i rapporti internazionali del leader leghista.
Dopo anni in cui sui rapporti tra Salvini e Mosca si è scritto di tutto e di più, il report dei servizi segreti sarebbe quasi la pistola fumante, la prova provata che nella caduta di Draghi, nel pieno della guerra Ucraina, c'è stata la manina di Mosca. E che la Lega ne è stata il braccio armato. Di buon mattino, lo scoop del quotidiano torinese irrompe nel dibattito politico, tra indignazione e richieste di chiarimenti.
Ma, subito dopo, arriva la doccia fredda. Perché da Franco Gabrielli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti - ovvero l'uomo di Mario Draghi sul fronte dell'intelligence - arriva una smentita lapidaria. «Le notizie apparse sul quotidiano La Stampa", circa l'attribuzione all'intelligence nazionale di asserite interlocuzioni tra l'avvocato Capuano e rappresentanti dell'Ambasciata della Federazione Russa in Italia, per far cadere il Governo Draghi, sono prive di ogni fondamento», scrive Gabrielli. Il documento che La Stampa dice di avere visionato non esiste, non è un atto dei servizi segreti. Infatti il quotidiano aggiusta il tiro: «i documenti visionati dal nostro giornale sono una sintesi informale del lavoro d'intelligence sulla vicenda, comunicati ai competenti livelli istituzionali». Non un solo documento, dunque: però roba non ufficiale, «sintesi informale» fatta non si sa da chi delle scoperte dei nostri servizi.
Il problema, però, è che non solo i nostri 007 non hanno prodotto quel documento, ma non hanno mai neanche trovato traccia di incursioni russe negli affari italiani passate per il canale Capuano. Il nome dell'esponente leghista, ex deputato, circola infatti dal maggio scorso, quando era stato indicato come uno degli organizzatori del viaggio poi abortito di Salvini a Mosca. In quell'occasione si attivò il Copasir, il comitato parlamentare di vigilanza sui servizi, che convocò a più riprese Gabrielli. Come andò lo ricorda ieri in una nota Adolfo Urso, presidente del Copasir: «Il Comitato si è occupato di questa vicenda in tempi non sospetti ottenendo informazioni e rassicurazioni dall'autorità di governo e dall'intelligence». La formula usata ripetutamente da Gabrielli in quegli incontri fu netta: dall'analisi di Aisi e Aise sui rapporti tra Capuano e Russia non emergeva «nulla di rilevante per la sicurezza nazionale».
Poiché si può escludere che Gabrielli abbia mentito al Copasir, la smentita è totale: non solo il documento non viene dai servizi segreti, ma il suo contenuto è il contrario di quanto risulta ai servizi stessi. Così Matteo Salvini ha buon gioco a liquidare la faccenda: «Sono fesserie, sono le solite fantasie su Putin, sul fascismo, nazismo».
Ma ormai la bomba è lanciata, al punto che imprecisate fonti dell'intelligence americana citate da LaPresse esprimono «preoccupazione» per la vicenda, e che anche Fdi, attraverso Francesco Lollobrigida, fa sapere che «le questioni di carattere internazionale vanno chiarite». Poco conta che in realtà, come twitta Antonio Tajani, «il governo Draghi è caduto per colpa della sinistra». Bisogna rassegnarsi: sarà una campagna elettorale di sganassoni.
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