«Incontriamo Marco Bucci nei caruggi del centro storico». Ed eccolo, il vero piatto forte della tanto attesa puntata di «Report». Non la minestra riscaldata su ministri ed ex ministri. Il programma di Sigfrido Ranucci, a urne aperte, entra nella carne viva del voto ligure e disegna un quadro di affarismo «portuale», con un punto di caduta fin troppo chiaro: il centrodestra con il suo (ormai ex) governatore, Giovanni Toti, e il presunto «sistema» politico e di relazioni che sarebbe stato ereditato dal sindaco Marco Bucci, candidato a succedergli.
Un quadro dipinto - per lo stupore di molti - fra il primo e il secondo giorno di elezioni regionali. «Liguria nostra», si intitola - sobriamente - il servizio, che dura la bellezza di 55 minuti. E chi guarda Rai 3 capisce subito dove si va a parare. Questo è il «succo» della puntata tanto attesa e lanciata, del programma di Sigfrido Ranucci, che alla fine «vince» pure la serata col 13,7% di share e 2.643.000 telespettatori. Non sono gli ardori ideologici giovanili di Alessandro Giuli, o le rivelazioni sull'attività ministeriale che si risolvono nella descrizione di qualche peripezia legata all'allestimento di una mostra sul Futurismo. No il lunghissimo reportage ha un'ambizione fin troppo chiara: ricollegare le vicende giudiziarie estive, che hanno coinvolto l'allora governatore Giovanni Toti, alla corsa elettorale odierna. E questo in pieno silenzio elettorale, con un terzo dei liguri che realisticamente deve ancora decidere per chi (e se) votare. Quasi un'ora di servizio che va dalla promozione del pesto alla nuova diga foranea, dalle iniziative promozionali alle infrastrutture, passando da un vicolo a un'intervista, e con il conduttore che a un certo punto - bontà sua - precisa che il sindaco «non è indagato». Il centrodestra non la prende bene, ovviamente. «Un'indecenza», con commenti di questo tenore, dettati anche la tensione della vigilia, l'entourage del sindaco segue il servizio, che poi dedica i 12 minuti finali al «conflitto d'interessi» di qualche esponente locale Pd. «A sinistra invece - recitava l'anticipazione - si deve fare i conti con i rapporti che alcuni esponenti hanno con alcune società del Porto di Genova». Ma sembra più che altro una foglia di fico. «Ho visto su Report una gigantesca serie di calunniose suggestioni - commenta Toti - notizie già note che, chissà perché, meritavano di essere trasmesse, montate ad arte tra il primo e il secondo giorno di voto in Liguria. Un racconto fatto di indagati già colpevoli, di mafiosi solo perché siciliani, di maleducazione spacciata per giornalismo, di furore politico elevato a deontologia». «Il sistema Toti in Liguria si chiama democrazia - rivendica - basato sul voto del 55% dei cittadini, non certo di presunti mafiosi con cui non ho mai avuto a che fare nella vita. Mi chiedo se quello che ho visto, santi a sinistra e diavoli a destra, a urne aperte, sia un buon servizio al giornalismo e al servizio pubblico Rai pagato dagli italiani».
Sicuramente non è servito, o non è bastato, a spostare l'esito finale della partita. E, se qualcuno ci contava, è rimasto deluso. Il circo mediatico-giudiziario non tira più come un tempo, dunque.
E fa discutere anche l'altro servizio, dedicato al naufragio di un'imbarcazione partita dalla Turchia e affondata a circa 120 miglia dalle coste italiane tra il 16 e il 17 giugno.
«La risposta è semplice - dicono da Fdi - ancora una volta si intende speculare mediaticamente su una tragedia, attribuendo presunte responsabilità al governo e alla Guardia Costiera per screditare le nostre autorità a vantaggio di una narrazione immigrazionista, sbilanciata sulle pretese delle Ong di non coordinare le proprie operazioni con le autorità italiane».
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