Durante un processo di mafia dei primi anni Novanta, Toni Carollo - rampollo incensurato di una dinastia pesante - diceva a un cronista precocemente calvo: «Se ti racconto cosa ci fanno a Pianosa, prima ti ricrescono i capelli e poi ti ricadono». D'altronde erano gli anni di fuoco dell'emergenza criminale, cui il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa rispose riaprendo i carceri sull'isola toscana e all'Asinara, e deportandoci di notte centinaia di detenuti legati al crimine organizzato, raggiunti poco dopo da decine di terroristi rossi: compreso il fondatore delle Br Renato Curcio. Di quell'epoca terribile restano testimoni il muro di cemento armato (nome ufficiale «muro Dalla Chiesa») che blocca la costa nord dell'isola, e le croci sparse nella macchia mediterranea, nei punti dove si suicidavano talvolta gli agenti di custodia. Anche per loro, destinazione Pianosa era un biglietto per l'inferno.
Oggi l'isola carcere è regno delle berte, dei falchi, dei fagiani. La macchia mediterranea mangia i sentieri scavati nei decenni. Ma la vocazione detentiva viene da lontano, fin da quando Augusto spedì a Pianosa il nipote Agrippa Postumo, giovane e troppo ambizioso: esilio dorato, fin quando un centurione zelante tolse di mezzo l'aspirante imperatore.
Riscoperta da Benito Mussolini come carcere ideale per gli oppositori politici, ebbe come ospite un socialista che sarebbe divenuto famoso: Sandro Pertini, che proprio qui nel 1933 ricevette la lettera con cui sua madre gli annunciava la richiesta di grazia. Si arrabbiò molto, e la richiesta venne ritirata.LF
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