A Ginevra, dove domani si apre il Salone dell'auto, si parla anche di politica e dell'arduo compito che vede impegnato il capo dello Stato, Sergio Mattarella: nominare il nuovo premier che, a sua volta, dovrà cercare di mettere insieme un governo. Sergio Marchionne, ad di Fca e presidente della Ferrari, si dice sicuro «che il Paese ce la farà e troverà il modo per andare avanti; non posso negare, però, che Mattarella ha un grandissimo lavoro da fare. E sostituire il mio giudizio al suo sarebbe una grandissima cavolata». Il top manager, che tra poco più di un anno passerà il testimone della guida di Fca, aggiunge anche che sia Luigi Di Maio, sia Matteo Salvini non lo spaventano. «Nel passato - ricorda - ci sono state situazioni peggiori. La macchina continua a funzionare. L'esecutivo Gentiloni rimane in carica finché non viene nominato il prossimo. Zero preoccupazioni».
E il suo ex pupillo Matteo Renzi? Viene definitivamente scaricato, ed è la terza volta la prima, il 3 dicembre dello scorso anno, in occasione della presentazione del team Sauber-Alfa Romeo di Formula 1 («Renzi ha perso qualcosa da quando non è più presidente del Consiglio»); quindi, in gennaio, all'Auto Show di Detroit («non lo riconosco più») e ieri, davanti alla stampa mondiale, ha ribadito lo stesso concetto.
Marchionne, che non ha voluto esprimere giudizi sui due vincitori del voto di domenica, Luigi Di Maio, leader del M5S, e Matteo Salvini, condottiero della Lega, sembra attendere conferme dal Quirinale. E chi riceverà da Mattarella l'incarico di formare il nuovo esecutivo, vedrà Fca assumere il solito atteggiamento «filogovernativo». L'ad del Lingotto si sbilancia una sola volta, quando gli viene chiesto se teme una possibile uscita dell'Italia dall'Unione europea. «È questa la vera cosa - sottolinea - di cui il Paese dovrebbe preoccuparsi. Le conseguenze di una scelta del genere sono tutte da scoprire, sia come impatto sullo spread sia come costi aggiuntivi a causa dell'addio all'Ue». E se Marchionne ha parlato a Ginevra, a Milano il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, nel commentare l'esito delle elezioni, ha più o meno ribadito quanto espresso dall'ad del Lingotto. «I 5 Stelle - osserva Boccia - sono un partito democratico: smontare provvedimenti come Jobs Act e Industria 4.0 significherebbe rallentare, mentre il Paese ha bisogno di accelerare se si vuole ridurre il divario e aumentare l'occupazione». Stessa linea, dunque, tra Marchionne, che anni fa decise di far uscire Fca da Confindustria, e il presidente Boccia. Un punto in comune, come si vede, esiste.
Renzi, intanto, da quando l'ex amico Marchionne («lo voterei», disse in uno dei tanti incontri) lo ha ufficialmente mollato, oltre a non aver ancora commentato la perdita di un importante sostegno, può vivere ora di ricordi. Dei momenti, cioè, di maggiore vicinanza con il top manager di Fca, per esempio quando, visitando uno stabilimento del gruppo, si dichiarò «gasatissimo» dei progetti avviati dal Lingotto. Oppure, nella veste di ospite d'onore alla cerimonia della quotazione di Ferrari anche alla Borsa di Milano, quando disse di essere stato lui a convincere il presidente «a far entrare il Cavallino nel listino di Piazza Affari».
Ma ad assestare il colpo di grazia a Renzi era stato Lapo Elkann, fratello del presidente di Fca, John, che in televisione aveva descritto l'ex premier come «uno che si che piace troppo, quindi pericoloso per se stesso e gli altri. Non è un Macron, molto più preparato di lui, ma un Micron». Un segnale lampante della fine di un breve idillio anche con la famiglia che controlla il Lingotto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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