Dalla Albano a Open arms i pm in prima linea sul fronte pro-migranti

Il braccio di ferro con l'esecutivo iniziato nel '23 contro il decreto Cutro

Dalla Albano a Open arms i pm in prima linea sul fronte pro-migranti
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La pronuncia della Cassazione chiude un anno ad alta tensione tra politica e magistratura. Con le toghe spesso in prima linea, negli atti o nelle dichiarazioni pubbliche, contro provvedimenti cardine del governo Meloni, dai migranti, al premierato, fino alla battaglia più delicata della categoria contro la separazione delle carriere, la madre delle riforme dell'esecutivo in tema di giustizia. Ma è sui migranti che si è consumato il braccio di ferro più serrato, che è ancora in corso in attesa dell'ultima parola della Corte Ue prevista a febbraio sui cosiddetti Paesi sicuri. Nonostante il punto fermo sottolineato dalla Cassazione ieri, l'ordinanza non mette ancora la parola fine alla querelle.

Contro le politiche migratorie del governo si erano espressi per primi i magistrati di Catania quando, nell'ottobre 2023, avevano rimesso in libertà quattro migranti, opponendosi alle espulsioni accelerate previste dal cosiddetto «decreto Cutro». Ne era nato un caso, in particolare sulla giudice che aveva emesso l'ordinanza, Iolanda Apostolico, finita nella bufera dopo un video del 2018 in cui partecipava a una protesta di piazza contro i decreti sicurezza dell'allora governo Conte, ministro dell'Interno Matteo Salvini. Che l'aveva attaccata frontalmente, mentre la giudice veniva difesa invece strenuamente dalla categoria. Apostolico si è dimessa il mese scorso dalla magistratura per «motivi personali», ma sottovoce i colleghi non escludono che il ritiro sia anche connesso a quella vicenda. E nel corso dell'ultima assemblea straordinaria dell'Anm le è stato tributato un applauso collettivo, segno del sostegno della categoria alla giudice diventata in quel momento simbolo del conflitto con l'esecutivo. Di certo il dibattito sui cosiddetti Paesi sicuri era iniziato proprio con il suo provvedimento. Lo scontro con le toghe è proseguito prima con l'annullamento e poi con la sospensione della convalida dei trattenimenti dei migranti nei centri di rimpatrio in Albania da parte dei magistrati della sezione immigrazione del Tribunale di Roma, che hanno ritenuto quei fermi in contrasto con la normativa comunitaria e hanno infine rinviato la questione alla Corte Ue. Si è riacceso così un botta e risposta frontale con Palazzo Chigi. Protagonista, questa volta, uno dei magistrati romani della sezione che hanno firmato la sospensione delle convalide: Silvia Albano, presidente di Magistratura democratica, la corrente più a sinistra delle toghe, nota per le sue prese di posizione pubbliche contro la «via albanese» del governo. Per gli attacchi subiti è stata disposta per lei la scorta. Le decisioni dei giudici di Roma hanno avuto l'effetto mediatico dirompente di far ritornare in Italia i migranti che erano stati portati in Albania e di lasciare di fatto quei centri vuoti, alimentando l'insofferenza del governo e la sensazione di un'opposizione politica da parte delle toghe. Che ha spinto l'esecutivo a emanare il cosiddetto decreto sui Paesi sicuri in cui rimpatriare i migranti, per superare le argomentazioni dei giudici. Non è servito. Sono arrivati i provvedimenti dei magistrati di Bologna, che a novembre, di fronte al caso di un cittadino del Bangladesh che aveva richiesto la protezione internazionale, hanno rinviato quel provvedimento ancora alla Corte europea.

Le polemiche sono esplose dopo le parole di Salvini sui «giudici comunisti», tanto da spingere il Csm ad approvare una pratica a tutela delle toghe coinvolte. Infine, il processo simbolo contro la politica e le sue scelte: quello a Salvini, per il caso Open Arms, conclusosi pochi giorni fa con l'assoluzione del ministro perché il fatto non sussiste.

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