Alice e la sindrome di Medea

Le accuse della figlia della Munro

Alice e la sindrome di Medea
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Potrebbe essere la trama di un romanzo, e fra le più strazianti, quando invece è la realtà: Andrea Robin Skinner, figlia dell'autrice premio Nobel Alice Munro, ha da poco confessato di essere stata abusata da Gerald Fremlin, suo patrigno e marito della scrittrice: quest'ultima non l'avrebbe quindi protetta, continua la donna, avrebbe avallato quell'orrore e fatto sì che Andrea ne venisse fagocitata.

Murno in sostanza non avrebbe fatto la madre, che nella propria vita dovrebbe compiere un gesto più di ogni altro: proteggere i figli. Munro si sarebbe comportata come la maggior parte delle madri appartenenti a nuclei disfunzionali, dove l'incesto ai danni di minori non solo non è censurato ma è perfino incoraggiato: è la cosiddetta pedofilia intrafamiliare, che non è per niente un'eccezione (dato che è più comune di quanto si pensi), è la stortura immonda per cui chi dovrebbe difendere al contrario promuove il pericolo, anzi la catastrofe. Viene in mente quel film tremendo che è La bestia nel cuore, in cui Sabina, interpretata da un'incredibile Giovanna Mezzogiorno, a certo punto ricorda la sua infanzia violata, vissuta con la croce di un padre abusatore e con una madre complice del crimine. Cosa divide Sabina da Andrea e da infinite altre vittime di pedofilia? Nulla.

Cosa divide Alice Munro da milioni di altre madri che hanno dimenticato cos'è davvero una madre? Anche qui nulla. Pare di stare di fronte a un'epidemia, una peste di novelle Medea che commettono un infanticidio dopo l'altro, certo non in senso classico ma psicologico: e dei due modi non so quale sia il peggiore.

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