È il «fattore Isis» quello che avrebbe causato la fuga in avanti di Joe Biden verso il rispetto tassativo del 31 agosto quale data ultima per il completamento delle operazioni di evacuazione dall'Afghanistan. Ovvero il rischio di attentati indiscriminati contro civili e obiettivi occidentali a ridosso dello stesso aeroporto Hamid Karzai da parte di cellule dello Stato islamico presenti a Kabul. Secondo quanto rivelano fonti informate a Il Giornale, è questo uno degli elementi emersi con rilievo durante l'incontro tra il capo della Cia, William Burns, e il leader politico dei talebani, Abdul Ghani Baradar, avvenuto lunedì nella capitale afghana.
Per capire occorre fare un passo indietro. In Afghanistan è operativa una «filiale» terroristica costituita dagli eredi del Califfato denominata Stato islamico della provincia del Khorasan (Isis-K). La compagine è composta, secondo le analisi più attuali, da sette a diecimila miliziani, buona parte ceceni e uiguri, che cercano di inserirsi in Afghanistan anche grazie al partenariato con il Movimento islamico dell'Uzbekistan. L'obiettivo è sottrarre al controllo dei talebani porzioni di territorio minandone la tenuta, e pertanto sono in netta contrapposizione con i miliziani delle madrasse. Alcuni sono pronti ad attivarsi anche a Kabul, come si deduce dall'allarme lanciato dagli 007 Usa. Negli ultimi giorni tale rischio è risultato ben più elevato, e su questo hanno convenuto Burns e Baradar.
Secondo Colin P. Clarke, analista dell'antiterrorismo presso il Soufan Group, «l'Isis-k stava aspettando un'opportunità come questa, dove i suoi combattenti possono sfruttare il caos della situazione sul terreno per avere la possibilità di uccidere soldati americani». Anche secondo quanto rivelato da funzionari del Pentagono a Politico le minacce terroristiche stanno mettendo a repentaglio l'evacuazione dalla capitale. La situazione della sicurezza a Kabul è significativamente peggiorata martedì a causa di nuove minacce delle cellule locali dell'Isis, note come Isis-k, spiegano le fonti, che stanno prendendo di mira i cancelli dello scalo Hamid Karzai e gli aerei militari e commerciali che evacuano le persone. Quindi per convenienza e sicurezza di tutti prima si completa l'evacuazione più si minimizza il rischio di attentati dell'Isis. Il che fa comodo agli americani perché non vogliono morti tra i civili e tra i loro stessi militari, ma anche ai talebani perché non vogliono che lo Stato islamico vada a minare la sicurezza della capitale di cui loro stessi si sono fatti garanti. Il presidente Joe Biden ha parlato della questione martedì pomeriggio dalla Casa Bianca: «Ogni giorno di operazioni comporta un rischio aggiuntivo per le nostre truppe - ha detto - L'Isis-k sta cercando di prendere di mira l'aeroporto e attaccare le forze statunitensi e alleate, oltre a civili innocenti». E il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha ammesso che «la minaccia è reale, acuta, persistente. È qualcosa su cui ci stiamo concentrando con ogni strumento nel nostro arsenale».
Il presidente Usa, che ha poi condiviso con i partner del G7 i timori sul «fattore Isis», si è dovuto però confrontare con le richieste degli alleati europei di non chiudere del tutto all'eventualità di un prolungamento. Pertanto ha chiesto al Pentagonodi modulare piani emergenza nel caso estremo in cui non si riesca a terminare la missione in tempo. L'ipotesi però, giorno dopo giorno, apre a scenari sempre più rischiosi.
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