Allena la squadra rivale: aggrediscono la figlia

Spinte e calci alla 18enne come "avvertimento" per il padre. La madre: "Criminali, andiamo via"

Allena la squadra rivale: aggrediscono la figlia

Deve essere il nuovo trend moda del farabutto da curva adesso che la curva è chiusa da un anno: colpire i figli per educare i padri, versione ultra della rappresaglia brigatista. Un paio di settimane fa era toccato a Niccolò Pirlo, 18 anni, primogenito del mister della Juventus «Devi morire insieme a tuo padre» il testo del messaggio più amichevole. Il ragazzo si è così domandato pubblicamente: «Questa sarebbe la mia colpa e la motivazione per la quale ogni giorno mi arrivano messaggi di augurata morte e insulti vari?». Non c'è.

Ma ieri si è andati persino oltre. Gianluca Grassadonia ha 49 anni e una carriera da calciatore vagabondo, sempre a cavallo tra A e B. Un paio di stagioni le ha fatte anche nel Milan di Sacchi ma senza scendere mai in campo. Una volta, era il campionato 1998-99, rischiò pure di morire in Udinese-Cagliari, lui era il capitano dei sardi, andò in arresto cardiaco dopo uno scontro con Thomas Locatelli. Lo salvò l'intervento del portiere Alessio Scarpi e del medico dell'Udinese Giorgio Indovina perchè i defribillatori in campo allora non erano previsti. Da dodici anni fa l'allenatore: la sua prima squadra da mister è stata la squadra della città dove è nato e dove vive ancora, la Salernitana, nove panchine fin qui, l'ultima, dove siede adesso, è quella del Pescara. E il Pescara è la squadra che stasera affronterà proprio la Salernitana in un partita che potrebbe promuovere la squadra campana in Serie A. Ed è qui, nella testa di un manipolo di disadattati, che esce l'idea dell'avvertimento mafioso al concittadino rivale per una notte. Così un gruppo di gentiluomini, come racconta la moglie di Grassadonia con un post su Facebook «dopo cinque giorni di minacce e insulti dirette alla nostra famiglia, nostra figlia, appena diciottenne, è stata minacciata e aggredita con spintoni e calci affinché il papà capisca.... Tutto questo per una partita di calcio. Ci auguriamo che questi criminali, ben lontani dall'essere tifosi, vengano identificati al più presto, anche perché questa è la prima volta in cui il bersaglio della violenza è stato un componente della nostra famiglia. Ringraziamo tutti coloro che ci hanno mostrato solidarietà in queste ore così tristi e concitate, ma ci sembra chiaro, ora più che mai, che la nostra vita continuerà lontano da Salerno».

Tutti hanno preso posizione: la Salernitana, che «stigmatizza e condanna i comportamenti intimidatori ed offensivi messi in atto» contro la famiglia Grassadonia; il sindaco di Salerno Vincenzo Napoli: «Non permetteremo a nessuno d'infangare Salerno e di oltraggiare la civile e corretta passione granata confondendola con il gesto di qualche isolato sconsiderato», persino la curva salernitana: «Da ultras ci sentiamo responsabili di dare insegnamento ai ragazzi in curva perché prima di tutto siamo uomini e padri. Questo schifo è solo frutto di cattivi esempi e sporca il nome di Salerno. Vergognatevi» e il presidente dell'Assoallenatori Renzo Ulivieri: «Ormai si fanno delle cose che non sono umane». Ma nessuna solidarietà fermerà Grassadonia che non sente più sua la sua città.

«Adesso basta. I miei familiari prenderanno un taxi e andranno via, anzi scapperanno via. Li aspetto in Abruzzo». «É successo anche ai miei figli» ha raccontato l'allenatore del Monza Cristian Brocchi. Il peggio, si sa, non ha fine.

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