Entrate, prima porta a sinistra. L'«okkupazione» al ministero delle Finanze delle stanze dei bottoni che si occupano di tasse, cartelle e imposte (ieri il sistema telematico è andato in tilt) è il primo pensiero del centrosinistra quando va al potere. Con esiti a volte paradossali.
Dei sei dirigenti di Entrate-Equitalia-Riscossione dagli anni Novanta a oggi - Massimo Romano, Raffaele Ferrara, Raffaella Orlandi, Attilio Befera, Giulio Maggiore e Ernesto Maria Ruffini - cinque sono espressione del mondo Pd-renziano, uno solo (Ferrara) ne è esterno. Nel 1999, ad esempio, l'allora ministro delle Finanze Vincenzo Visco approfittò di una leggina sul ruolo unico dei dirigenti e decapitò la Direzione centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tributario, in pratica l'ufficio che seguiva la parte tributario-legale del ministero. A saltare oltre al dirigente in tutto furono una quindicina di poltrone, tanto che l'allora segretario generale della Dirstat Finanze Giancarlo Barra minacciò uno sciopero: «È in atto un uso arbitrario ed illegittimo degli istituti contrattuali, si allontanano senza idonee motivazioni dirigenti di chiara e provata esperienza per neo assunti privi di esperienza». An parlò chiaramente di «un'interpretazione faziosa e illegittima» della legge Bassanini.
Chi c'era in quegli anni ricorda che la cacciata di quel dirigente fu figlia di una feroce guerra interna, nata con la complicità dell'allora direttore dell'Agenzia delle Entrate Massimo Romano, che tolse al dirigente alcune competenze fondamentali prima di rimuoverlo. A capo dell'Erario dal 1997 e di strettissima osservanza vischiana, fu proprio Romano a decidere la pubblicazione in rete dei redditi dichiarati dagli italiani nel 2005 che fece scattare un'inchiesta della Procura di Roma per violazione della privacy, aperta dal procuratore aggiunto di Roma Franco Ionta e dal pm Francesco Polino.
Quando nel 2001 vinse il centrodestra Romano saltò da indagato (facendo causa al ministro dell'Economia Giulio Tremonti), disse che l'iniziativa di pubblicare i redditi era solo sua («Nessun input occulto, l'ho deciso io in totale autonomia come da legittime prerogative istituzionali») e in cambio la sinistra con Visco in testa insorse, lamentando guarda caso «un'abusiva applicazione della normativa vigente, dettata non dal perseguimento dell'interesse del Paese, ma solo da intenti di natura faziosa».
Nel frattempo lo spoil system venne regolato dalla legge firmata Franco Frattini. E così la vittoria del centrosinistra nel tragicomico biennio 2006-2008 di Romano Prodi segnò il ritorno del vischiano Romano, manager di cui l'ex ministro si fidava tantissimo. In molti ricordano il blitz di Visco sui vertici del nucleo provinciale di polizia tributaria della Guardia di Finanza milanese e lombarda, con un braccio di ferro con l'allora comandante Roberto Speciale che non gradì le pressioni politiche sulle nomine interne al corpo e le successive ricadute su alcune delicate inchieste in capo alla Procura di Milano come il caso Bnl-Unipol. Prima di andare via nel 2008 Romano promosse un concorso per 850 posti tra dirigenti e funzionari (550) che il sindacato Dirpubblica definì «l'ultima prevaricazione» di Romano.
Il resto è storia: a Romano subentrò il numero due Attilio Befera, che rimase con Mario Monti, poi arrivò il ticket Orlandi-Ruffini, quest'ultimo confermato anche da Claudio Gentiloni, fino a che Giuseppe Conte non scelse il generale Gdf Maggiore per l'esecutivo giallo-verde. Con Mario Draghi tornò Ruffini, confermato (un po' a sorpresa) anche da Giorgia Meloni.
Al figlio dell'ex dirigente Dc Attilio Ruffini e nipote del cardinale Ernesto, benvoluto anche al Quirinale, va dato il merito di aver rottamato Equitalia e aver digitalizzato la riscossione e ridotto del 15% l'evasione fiscale e contributiva accertata (scesa per la prima volta sotto i 100 miliardi), ma sulle spalle di Ruffini pesa anche il fallimento delle rottamazioni delle cartelle, su cui l'allora premier Matteo Renzi puntava tutto, visto che rottamò Equitalia nel 2016, affidando a lui la Riscossione. Oggi però i suoi proclami e la minaccia di galera per chi non paga le cartelle mal si concilia con l'idea che ha in mente il viceministro Maurizio Leo, che ha in mano la delega fiscale che il Senato approverà in settimana.
La novità della cooperative compliance, cioè l'accordo preventivo tra contribuente ed Erario che scongiuri il ricorso alle cartelle, potrebbe portare quella pace fiscale che in tanti chiedono, a partire dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini.Piccola curiosità: chi è il dirigente agli affari giuridici allontanato nel 1999 da Visco? È proprio il viceministro Leo. A volte ritornano.
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