Clamoroso colpo di scena sul fronte MeToo negli Stati Uniti. Ieri la Corte d'appello di New York ha annullato la condanna per stupro e violenza sessuale contro Harvey Weinstein, ordinando un nuovo processo. Nel 2020 l'ex produttore di Hollywood era stato condannato a 23 anni di prigione, ma il tribunale ha ritenuto che siano stati commessi una serie di errori dal giudice James Burke, anzitutto con la decisione di chiamare a deporre donne le cui accuse non facevano parte del caso. Queste testimonianze hanno «dipinto un'immagine altamente dannosa» dell'imputato, e «la soluzione a questi errori scioccanti è un nuovo processo», ha spiegato la Corte.
La modella e aspirante attrice Lauren Young, la star dei Soprano Annabella Sciorra, Dawn Dunning e Tarale Wulff testimoniarono sui loro incontri con Weinstein sulla base di una legge statale che autorizza deposizioni riguardanti «precedenti malefatte» per dimostrare uno schema di cattivi comportamenti dell'imputato. Secondo il tribunale d'Appello tuttavia le deposizioni sono inammissibili poiché «nel nostro sistema di giustizia l'accusato ha diritto a rispondere solo del reato per il quale è stato incriminato».
Questo non significa che il 72enne ex magnate del cinema stia per tornare in libertà, visto che nel 2022 è stato giudicato colpevole a Los Angeles di un'altra accusa per stupro e condannato a 16 anni di carcere. Ma la decisione rappresenta uno scioccante capovolgimento del caso storico che ha contribuito a lanciare il movimento MeToo. Sta ora al procuratore Alvin Bragg, già impegnato in un processo di alto profilo contro Donald Trump (quello sui pagamenti alla pornostar Stormy Daniels), decidere se tornare a mettere l'ex boss della Miramax in stato di accusa. «Faremo quanto è in nostro potere e restiamo fermamente dalla parte delle sopravvissute ad aggressioni sessuali», ha promesso un portavoce della procura.
Il verdetto in ogni caso è stato accolto con dolore dalle leader del MeToo: «Dimostra quanto occorra ancora fare per portare avanti i nostri ideali», ha detto Jane Manning, ex magistrato e direttrice del Women's Equal Justice Project, seguita da Ashley Judd che nel 2017 fu la prima a rompere l'omertà sui misfatti di Weinstein: «Noi sappiamo quel che è successo». «Harvey Weinstein è stato giustamente condannato e merita di essere punito per tutti i suoi crimini», ha sottolineato da parte sua Scott Berkowitz, fondatore e presidente di Rape, Abuse & Incest National Network, la più grande organizzazione contro la violenza sessuale negli Stati Uniti, definendo la sentenza «una decisione orribile che non protegge il giusto processo».
Oltre cento donne nel 2017 hanno accusato il produttore di reati a sfondo sessuale, e il loro racconto collettivo ha costituito le fondamenta del movimento MeToo. In termini legali, però, la condanna di Weinstein a New York è sempre stata controversa e i ricorsi in appello dei suoi avvocati, secondo gli esperti, avevano chance di vittoria.
Intanto il legale dell'ex magnate, Arthur Aidala, esulta, affermando che la sentenza «è una vittoria non solo per Weinstein, ma per tutti gli imputati nello stato di New York i cui diritti fondamentali sono stati ribaditi oggi dalla Corte».
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