"Amara e Centofanti legati a Pignatone". Due testi smontano l'accusa contro Palamara

Le rivelazioni in due verbali. E le nuove contestazioni all'ex pm traballano

"Amara e Centofanti legati a Pignatone". Due testi smontano l'accusa contro Palamara

Di bocca in bocca la realtà cambia, le accuse si montano e si smontano, le certezze si affievoliscono. Dai verbali degli ultimi interrogatori dei pm di Perugia, che hanno contestato nuovi capi d'imputazione all'ex collega Luca Palamara, emergono affermazioni su sue presunte rivelazioni sull'inchiesta di Messina sul «Sistema Siracusa» del 2016, all'amico imprenditore coinvolto Fabrizio Centofanti, ora suo coimputato a Perugia. Ma sono riportate di seconda e terza mano, difficili da distinguere da millanterie e anche smentite, negli atti, proprio da quelli che sembravano i grandi accusatori del signore delle nomine al Csm.

Il primo è Vincenzo Barbaro, all'epoca procuratore facente funzioni a Messina, ora procuratore generale della città. Interrogato il 4 febbraio l'avvocato Piero Amara, che con il collega Giuseppe Calafiore ha patteggiato diversi anni di pena per aver aggiustato processi corrompendo giudici, riferisce che secondo Centofanti Barbaro si sarebbe rivolto all'allora membro del Csm Palamara per promuovere la sua candidatura a Pg e gli avrebbe detto che non c'era da preoccuparsi perché di lui, Calafiore e Centofanti c'era «tutta fuffa». Dopo l'arresto dei tre il 6 feb 2018, Barbaro avrebbe detto a Palamara: «Hai visto, finché ci sono stato io non è successo nulla, poi è arrivato De Lucia (capo della procura, ndr) ...».

Sembrano frasi che inchiodano l'ex presidente dell'Anm. Solo che Barbaro, che non è indagato, smentisce tutto, minaccia querele e invia a Perugia una relazione. «La rivelazione di notizie - dice- è palesemente insussistente, come potrà essere comprovato nelle competenti sedi. Preannuncio sin da ora adeguate iniziative giudiziarie». Barbaro nota «due strane coincidenze temporali», perché lui ha proposto ricorso contro il patteggiamento di Calafiore, coimputato di Amara, «per inadeguatezza della pena» ed è appena iniziato a Reggio Calabria un processo in cui è «parte offesa di plurimi reati di diffamazione». Ai pm di Perugia spiega che andò al Csm da Palamara preoccupato di voci secondo cui avrebbe voluto danneggiare il capo della Procura di Siracusa Francesco Paolo Giordano. L'altro l'avrebbe rassicurato sulle «dicerie palesemente infondate», ma non gli avrebbe chiesto informazioni sulle indagini di Messina, anzi «faceva chiaramente comprendere di essere a conoscenza di circostanze relative al procedimento penale, nel quale era coinvolto un suo amico». D'altronde, dell'inchiesta si occupava il Csm in seguito ad un esposto, che portò ad audizioni, trasferimenti, sanzioni.

A parlare di un'altra fonte delle informazioni è Candido Bonaventura, amico di Barbaro ed ex avvocato di uno dei magistrati corrotti da Amara, Giancarlo Longo. Interrogato, dice: «Barbaro mi ha sempre riferito che i rapporti con Palamara erano trasparenti», mentre in un incontro Amara gli «fece comprendere di sapere tante cose sullo sviluppo delle indagini».

A Longo, sostiene, «Amara e Calafiore fecero capire di avere possibilità di avere informazioni attraverso il fratello di Pignatone» (ex procuratore di Roma). Lo stesso Longo, ricorda il legale, ne aveva parlato a Messina e a Perugia, era stato accusato di calunnia nel 2018 e prosciolto.

Tra gli ultimi atti depositati c'è un verbale firmato da Longo il 13 febbraio, in cui ribadisce che Amara e Calafiore «potevano interloquire con Pignatone e De Lucia» (Maurizio, procuratore di Messina).

Depistaggi, millanterie? Il mistero Palamara rimane.

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