Guai giudiziari e guai politici in un post-elezioni dal retrogusto amaro per il Rassemblement national, che ha fallito l'impresa di conquistare una maggioranza, anche relativa, all'Assemblée Nationale, pur essendo stato il singolo partito che ha ottenuto più voti e più deputati al secondo turno delle elezioni legislative del 7 luglio in Francia. Marine Le Pen torna nel mirino delle procure francesi con un'inchiesta per sospetti finanziamenti illeciti alla sua campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 2022, quando fu sconfitta per la seconda volta da Emmanuel Macron. E la notizia arriva mentre nel partito cadono le prime teste dopo il verdetto delle urne e dà le dimissioni Gilles Pennelle, deputato europeo e direttore generale del Rassemblement.
L'indagine su Le Pen è stata aperta il 2 luglio, fra il primo e il secondo turno delle legislative, in seguito a una segnalazione della Cnccfp, la Commissione nazionale per i conti delle campagne elettorali e il finanziamento politico, che risale allo scorso aprile. La Procura di Parigi ha confermato la notizia, rivelata da Bfmtv, secondo cui alla leader dell'estrema destra francese viene contestato il prestito ricevuto da una persona giuridica in qualità di candidata in campagna elettorale, quindi la sua accettazione e ancora l'appropriazione indebita di beni e la frode ai danni di una persona pubblica. Infine il reato di falsificazione e uso di falsi. Un lungo elenco da cui emerge che Le Pen avrebbe violato la legge sulle campagne presidenziali, accusa che a febbraio è costata una condanna a sei mesi con la condizionale persino all'ex presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy, sempre per finanziamento illecito, e che lo vedrà nuovamente alla sbarra nel 2025. È una nuova rogna per la «dama» dell'ultradestra che a settembre andrà a processo, insieme al padre Jean-Marie, 96 anni, fondatore del Front National da cui nasce Rn, e insieme ad altri esponenti del partito, con l'accusa di aver pagato assistenti parlamentari con fondi dell'Unione europea anche se questi lavoravano per il Front, in Francia, tra il 2004 e il 2016.
Nonostante lo storico risultato raggiunto il 7 luglio dal Rn, che è passato dagli 8 deputati del 2017 agli 88 del 2022 fino ai 126 di quest'ultima tornata (143 con gli alleati di Eric Ciotti), il partito non può festeggiare dopo che la strada per il governo gli è stata sbarrata dal blocco delle sinistre unite e da quello di Macron e dei centristi, arrivati primi e secondi. La missione governo è fallita. E nelle ultime ore ha lasciato il suo incarico Gilles Pennelle, 61 anni, direttore generale del partito e artefice del «piano Matignon», la strategia che avrebbe dovuto portare al potere l'ultradestra, ma che ha mancato l'obiettivo non solo a causa dello sbarramento dei rivali politici, ma anche per l'inconsistenza e l'impresentabilità di molti candidati Rn, prova di un'impreparazione del partito all'appuntamento fatidico. In realtà - è bene ricordarlo - l'ufficio esecutivo del Rassemblement, contattato da «Le Monde» nella veste dell'eurodeputato Philippe Olivier, sostiene che l'uscita di scena di Pennelle, dopo l'elezione europea del 9 giugno, era prevista e non ha nulla a che vedere con il risultato delle legislative. Eppure non era mai stata comunicata, nemmeno ai «quadri» del movimento. Il sospetto è che nel partito sia cominciata quella «riorganizzazione generale» che il presidente Jordan Bardella dovrebbe annunciare a breve. Pennelle, ex professore di storia e geografia, aveva aderito al Front National 40 anni fa, dopo aver militato nel Pfn (il Partito delle Forze Nuove, erede di Ordine Nuovo, noto per le azioni violente).
Da ragazzo sosteneva la «rivoluzione totale» contro il potere «social-comunista» e il «liberalismo conservatore». Per vincere - ormai è chiaro ai vertici di Rn - servono una classe dirigente e candidati meno compromessi con il passato estremista delle origini e più capaci di intercettare i moderati di Francia.
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