La rivista britannica The Economist «a sorpresa promuove» Javier Milei, presidente dell'Argentina da meno di un anno e che, da quando si è insediato alla Casa Rosada, ha risollevato il suo paese dal disastro economico ereditato da decenni di kirchnerismo, la versione della sinistra più barricadiera del peronismo. The Economist lo fa con una foto di copertina di Milei con un ghigno malefico.
A giudizio del settimanale britannico, Milei «ha dimostrato che l'espansione costante dello Stato non è inevitabile: ha tagliato la spesa pubblica, dimezzato i ministeri e liberalizzato i mercati», anche se poi bisogna avere «cautela prima di celebrare la salvezza del paese sudamericano». Parlare di salvezza per un paese che ha fatto default una decina di volte dal 1930 a oggi fa sorridere, inoltre il virgolettato messo in bocca a Milei sulla copertina della rivista a mo' di titolo, ovvero «il mio disprezzo per lo Stato è infinito», il presidente argentino non l'ha mai pronunciato al giornale, che lo ha anche intervistato. Certo lo aveva dichiarato un anno fa quando, però, The Economist accoglieva la vittoria di Milei con scherno, citando cani clonati e motoseghe.
Oggi ha cambiato idea ma era difficile non farlo. Da quando Milei è arrivato alla Casa Rosada, l'Argentina ha ridotto l'Inflazione dal 25% al 3% mensile. Inoltre, per la prima volta dal 2008, ha registrato dieci mesi consecutivi di avanzo fiscale ed è iniziato un trasferimento di investimenti che, dal Brasile, si stanno spostando sull'Argentina come mai in passato. A differenza di Milei, che punta sullo «stato minimo», il presidente brasiliano Lula, punta invece sullo «stato massimo», la cosiddetta Teoria Monetaria Moderna (Tmm), un'evoluzione post-keynesiana, senza però grossi successi, da cui lo spostamento degli investimenti tra i due paesi. Non bastasse, il peso è diventata una delle valute con le migliori performance al mondo, riducendo il differenziale tra cambio nero e cambio ufficiale, dal 200% al 7% in meno di un anno.
Una politica economica che ora anche The Economist promuove perché, come diceva l'ex presidente Usa, John Adams, «facts are stubborn things» - «i fatti sono ostinati» - e più forti delle narrative che avevano descritto sinora Milei come un folle, un «loco».
In meno di un anno il presidente argentino che si ispira alla scuola austriaca dello stato minimo ha privatizzato aziende statali, ha ridotto da 20 a 8 i ministeri e tagliato di oltre il 5% la spesa pubblica nonostante le proteste dei sindacati. Non bastasse, secondo tutti i sondaggi, Milei continua a essere il leader politico più amato dal pueblo argentino, con un'approvazione per le sue leggi di riforma economica, tutte pro mercato, superiore al 60%.
Due le parti più interessanti dell'intervista a The Economist. La prima è quella in cui definisce la Cina un gran partner commerciale, la cui economia è complementare a quella argentina, precisando che, sebbene il suo allineamento sia con Stati Uniti e Israele, il commercio avviene tra persone e non governi.
Pechino, Milei dixit, è un «partner favoloso» che «non chiede nulla in cambio a meno che tu non li disturbi». La seconda è che con Trump alla Casa Bianca la relazione tra Buenos Aires e il Fondo Monetario Internazionale, «cambierà assolutamente le cose». In meglio ovviamente.
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