La sabbia è nera. La croce è bianca. Simboli contrapposti che rimandano alla lotta tra bene e male. Qui - su questa spiaggia dove il degrado urbano ha vinto la battaglia contro il bello della natura - aleggia lo spettro di una mamma 40enne con in braccio il figlioletto di 2 anni: entrambi sono poco più di ombre, difficili da distinguere nel buio della sera.
Ore 22.30 di domenica. Un uomo nota quelle due sagome indefinite muoversi come fantasmi sul bagnasciuga del lido «La scala» a Torre del Greco, paesone di 80 mila abitanti incapsulato nella città metropolitana di Napoli. L'uomo si chiede che cosa ci fanno una donna e un bambino in una zona che di notte diventa «terra di nessuno». Ma non fa in tempo a darsi una risposta, sopraffatto dalla scena che, tetra, gli si para dinanzi agli occhi: la donna entra lentamente in mare, pare un automa; il piccolo ha le braccia strette al corpo della mamma; lei sembra volerlo proteggere; invece, all'improvviso, lo stacca da sé, gettandolo in acqua. Il mare è piatto, ma il violento contatto col corpicino buttato via come un sacco di rifiuti, rompe la sua calma liquida. Gli spruzzi e quel suono, pluff, sono cupi presagi di morte. Il testimone si lancia in acqua, cerca di recuperare il «fagotto», che però è già andato giù. La donna prosegue il suo percorso verso il nulla. Passano i secondi, che diventano minuti. Il soccorritore (forse per l'emozione, forse per la fatica, forse per il freddo), si sente male: anche lui ha bisogno di aiuto. Le sue grida vengono udite da due ragazzi che si tuffano, senza sapere bene dove dirigersi. Nuotare in direzione di quella donna in trance? Dirigersi verso l'uomo che sta annaspando? Tentare di far riemergere il bimbo? Sentimenti in tumulto. E il cuore che batte a mille. Alla fine in gruppetto riguadagna la terraferma. Uno dei giovani è riuscito ad afferrare il bambino, ma ormai si tratta solo del corpo di un bimbo annegato. La donna è un manichino senz'anima, che semina briciole di parole: «Mio figlio... malato... suicidio...». Intanto il primo soccorritore si è ripreso e chiama il 112, mentre i ragazzi restano lì ad attendere che arrivino i carabinieri. Il loro racconto è decisivo. Ciò che accade dopo fa parte di un copione scontato. Il tratto di spiaggia maledetta viene recintato e messo sotto sequestro. La donna condotta in caserma. Ore di interrogatorio e risposte assurde. Poi il crollo. E la confessione: «Sì, l'ho gettato in mare». Inevitabile l'arresto con l'accusa di omicidio volontario. Il suo avvocato: «Non c'è stata premeditazione». La Procura precisa: «Non risulta da alcun documento sanitario che il bimbo fosse malato». Ad avere «problemi psichiatrici», probabilmente, è la madre. E infatti il processo che le faranno sarà tutto giocato sulla sua capacità o no di intendere e volere al momento dell'infanticidio. «Abbiamo sentito le grida di aiuto e quando ci siamo avvicinati c'erano una donna e un uomo in mare - hanno raccontato i due ragazzi -. Pensavamo fossero marito e moglie. Erano in difficoltà, ci siamo tuffati raggiungendo la zona dove si trovava il bimbo. Ma già nel portarlo a riva abbiamo capito che la situazione era disperata». E poi: «Quando siamo tornati verso la scogliera, la signora era in evidente stato di choc e farfugliava qualcosa, dicendo di essere stata rapinata da una persona straniera. Arrivati a riva, c'era chi stava provando a rianimare il piccolo attraverso un massaggio cardiaco». La dinamica della tragedia sembra così abbastanza chiara.
Il «movente» che ha spinto una madre ad annegare il figlioletto resta invece un mistero. Di certo si sa che, poco prima dell'omicidio, la donna aveva litigato col marito ed era uscita di casa col figlio più piccolo di due anni (la coppia ha un altro figlio di 7 anni).
Una fuga che aveva allarmato il coniuge, tanto da telefonare ai carabinieri intorno alle 22. Di lì a poco, l'orrore. Sull'arenile una mano pietosa ha posto una croce bianca. La risacca del mare, a intervalli regolari, la sporca con la sabbia. Nera.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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