"Anti-arcobaleno, estremista, autoritario". Netanyahu smonta le polemiche e giura

Nonostante il clamore mediatico, il premier oggi incassa la fiducia. Nella lista dei ministri gli alleati "scomodi" e personalità moderate

"Anti-arcobaleno, estremista, autoritario". Netanyahu smonta le polemiche e giura

Il caos che ha preceduto nell'opinione pubblica locale e internazionale la giornata odierna in cui il nuovo governo di Netanyahu deve presentarsi finalmente ai cittadini d'Israele e al mondo, è soprattutto la conseguenza furiosa della rabbia di poco meno della metà dei cittadini di Israele, quelli che non hanno votato i 64 seggi della maggioranza. Stupefacente la tenuta della leadership di Netanyahu che, nonostante i tanti tentativi di affiancarne il nome a invisi leader della destra nel mondo (da Orbán a Bolsonaro) non ha nel suo curriculum traccia di autoritarismo: né un giornalista bloccato, né un politico tacitato, né un intellettuale contestato nel suo ruolo, né interventi oppressivi sull'economia o sui sindacati. Al contrario, la cultura liberal-democratica è straordinariamente fiorente ovunque.

Netanyahu da una parte ha dovuto tener contro dei partner nazionalisti e religiosi, dall'altra ha saputo tener botta di fronte alle tendenze illiberali e bigotte. In queste ore ha fatto molte dichiarazioni per rassicurare che nessun cittadino verrà discriminato, che l'eguaglianza è un valore fondamentale di Israele: una dichiarazione necessaria, perché il maggiore scandalo è stato sollevato dalla proposta di Orit Struck, membro della del partito religioso sionista, di portare alla vigente legge contro la discriminazione un emendamento che consenta a medici e gestori di servizi di non fornire la propria prestazione quando risulti contraria alle convinzioni della persona. Ma la reazione anche nel Likud fa pensare che l'emendamento non passerà.

Il giornale Haaretz che si fregia degli attributi di liberale e democratico, dimentica che si tratta del risultato di libere elezioni e ha scelto ieri un titolo a tutta pagina Chaos su un articolo di David Grossman, che si avventura in previsioni simili a quelle per cui l'Italia con l'elezione della Meloni sarebbe diventata fascista.

Se da quando scriviamo non ci saranno cambiamenti, oggi il presidente della Knesset è un membro della comunità gay, «padre con padre» di due bambini, di nome Amir Ohana, giurista, ex ministro della Giustizia. Il ministro degli Esteri è un altro nome liberal del Likud, Eli Cohen; Yair Levin alla Giustizia, il quieto e deciso Yoav Gallant alla Difesa, il capo del Consiglio Nazionale di Sicurezza Tzaky Hanegbi, uomo di cultura. Sono tutti segnali di democrazia liberale. Sulla stampa di tutto il mondo il governo viene presentato con caratteri estremi, catastrofici, Haaretz titola «Il sionismo è razzismo», echeggiando le peggiori convinzioni antisemite. E il New York Times proclama che: «Israele è con tutta probabilità diretto a un disastro totale a un calderone di instabilità». I personaggi ritenuti oggetto di disgusto sono Betzalel Smotrich, ministro del Tesoro con un'estensione nella sicurezza dei Territori, di cui si sospetta che voglia portare potere, denaro e un cambio di status ai «coloni», e Ben Gvir, ministro della Sicurezza interna, accusato in sostanza di voler usare la polizia in maniera aggressiva, dura e anti-araba, utilizzando una «sua» nuova sezione della polizia contro l'ondata di terrorismo. Sono rischiosi per il Paese? Per ora il rischio maggiore appare quello di una chiamata in piazza contro il governo eletto, un invito a boicottare Israele.

La ribellione viene portata anche nella parte che deve restare sempre salda e compatta, quella dell'esercito, mentre Netanyahu sembra prepararsi a gestire, fino a che le acque si calmino, da una parte la contestazione massiccia, dall'altra gli alleati riottosi. Quando si vedrà, che niente accade alla democrazia Israeliana.

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