"Arcuri deve andarsene". Pressing Lega sul premier

La exit strategy morbida: via il 30 aprile con la fine dello stato d'emergenza. Salvini non vuole aspettare

"Arcuri deve andarsene". Pressing Lega sul premier

Il commissario si è inabissato. Zero dichiarazioni a giornali e agenzie, nessun comunicato e non c'è più traccia nemmeno della settimanale conferenza stampa in cui Arcuri dribblava sprezzante le domande dei giornalisti e li irrideva. Il pressing per silurarlo è in costante crescita e lui replica mostrando una delle qualità più importanti per un boiardo di Stato che ha attraversato vent'anni di governi: rendersi invisibile nei momenti difficili.

Ma con la vaccinazione che rallenta, le inchieste sulle forniture di mascherine, le critiche che lo assediano, il più potente degli uomini-macchina lasciati indietro da Giuseppe Conte può resistere? Ieri Matteo Salvini, che finora si era limitato a critiche e allusioni, ha consegnato ai giornalisti che gli chiedevano le sue aspettative per il consiglio dei ministri di stamattina, un messaggio netto: «Mi aspetto un piano vaccinale serio e rapido, con il licenziamento di Arcuri che ha fallito».

Come reagirà Mario Draghi? A giudicare dalle prime mosse, il presidente del Consiglio è perfettamente cosciente di guidare una coalizione di unità nazionale e punta a rispondere a quell'esigenza di cambio di passo politico che lo ha portato a Palazzo Chigi evitando mosse polemiche o di rottura che possano innescare inutili bufere. Difficile dribblare il caso Arcuri, vista la centralità del suo ruolo, ma era già apparso chiaro che Draghi puntava da subito a ridimensionare il ruolo di Arcuri innanzitutto scartando rispetto al metodo della centralizzazione. Già nel discorso sulla fiducia, il premier aveva archiviato di fatto la strategia dei centri vaccinali «primula», lanciata da Arcuri, annunciando il coinvolgimento di più risorse possibili nella campagna per l'immunizzazione: protezione civile, forze armate, privati.

Ecco perché si è fatta strada l'ipotesi di una soluzione «morbida» basata sull'articolo 1 del Dpcm di nomina di Arcuri, secondo cui la nomina è valida «fino alla scadenza dello stato di emergenza» e delle «relative eventuali proroghe». Molti governi europei hanno limitato lo stato di emergenza alla prima fase della pandemia, quella in cui il nemico era sconosciuto e imprevedibile, Conte invece, ignorando le polemiche delle opposizioni, ha prorogato costantemente lo stato di emergenza senza il quale sarebbe cessato lo strapotere di Arcuri.

A Draghi dunque, basterebbe attendere il 30 aprile e accettare di passare a una gestione «ordinaria» di un fenomeno drammatico ma dai contorni ormai noti per liberarsi senza troppo clamore dell'ingombrante presenza di Arcuri. Resistere due mesi con un commissario ridimensionato e rientrato nei ranghi che si addicono a un funzionario dello Stato.

Un sentiero sul quale ieri Matteo Salvini ha depositato una mina: Draghi ignorerà una presa di posizione così esplicita di uno dei partner numericamente più importanti della sua maggioranza? Il tema non è esplicitamente all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri di oggi, ma resta da vedere se qualcuno dei ministri della Lega tenterà di sollevare la questione.

C'è poi l'incognita dell'indagine sui «mediatori d'oro».

Arcuri non è nemmeno indagato, ma le carte dell'inchiesta hanno creato qualche imbarazzo, svelando che Arcuri, al contrario di quanto dichiarato dal suo staff, conosceva il mediatore Mario Benotti con cui si è scambiato oltre 1.200 tra messaggi e telefonate. Arcuri ora tace, ma il loquace Benotti no: stasera sarà ospite di Nicola Porro a Quarta repubblica su Retequattro.

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